Il fatto è già strano di per sé. Che un attaccante batta i calci d'angolo è una storia quasi inedita, perché se devi fare gol è necessario trovarsi in area di rigore: da lì può spizzarla, arpionarla, spingerla dentro in qualche modo. Lui però arriva a malapena al metro e settanta e non stacca poi molto. E poi c'è un altro fattore che suggerisce di farlo avviare verso la bandierina. C'è quel sinistro che pare un ricamo sempre in procinto di diventare arazzo. C'è che Massimo Palanca da Loreto segna da corner. E non una volta, per una pura botta di fortuna, ma molte.
È un bomber di provincia, Palanca. Classe 1953, ha iniziato a Camerino e si è fatto largo nel Frosinone, dove ha piazzato diciassette centri nella stagione 1973/74. Abbastanza per farsi notare dal Catanzaro del presidente Nicola Ceravolo e di mister Gianni Di Marzio, che lo ingaggia la stagione seguente, per immaginare una B di vertice. Lui ancora non lo sa, ma quello diverrà il suo ecosistema. Ci resterà, accarezzato dai tifosi, fino al 1981. E ci tornerà a fine carriera. Totale: 367 presenze e 137 gol.
“Massimé pare na molla" cantano dagli spalti. È l'inno che descrive la gioia di un popolo ogni volta che il suo supereroe personale lambisce la sfera. Palanca è una seconda punta sfuggente, capace di infrangere i raddoppi avversari. Ma non è questa la parte migliore del suo illuminato repertorio. Vede lo specchio con una disinvoltura disarmante. Ed è munito di un mancino soffice e veloso allo stesso tempo. Una carezza che fa sanguinare.
Però nessuno se lo aspetta, che possa segnare pure da calcio d'angolo. Eppure succede. Palanca mette in buca il primo centro indovinando una traiettoria beffarda sul primo palo. Poi ne infila un secondo, allungando il tragitto della sfera. "Vabbè, sono botte di fortuna", si ripetono dalla tribune. Macchè. Quando le reti da corner iniziano ad essere tre, quattro, cinque, la gente comprende che non può trattarsi di un caso. Palanca è un professionista del gol da quella posizione defilata e infame. Il migliore della categoria. Non a Catanzaro. Non in Italia. Nel globo terracqueo.
Sarà che Di Marzio, prima di ogni partita, tende a chiuderlo negli spogliatoi, gli stringe le mani sulle spalle e gli ripete: "Massimé, chiudi gli occhi e pensa a cieli azzurri e prati verdi”. E' il suo modo per caricarlo. Gianni convince Massimo di essere il migliore del mondo. Nel frattempo i tifosi lo adorano e invocano il suo nome, battezzandolo come 'O Rey e Piedino di fata. In quell'ecosistema di fiducia totale Palanca può permettersi tutto. Anche l'irriverente decisione di fregare il portiere dalla bandierina: "Mi affidavo molto al giro che faceva il vento - dirà in seguito per provare a spiegare la genesi di quella sequela di prodigi - e alla posizione dei miei compagni sul primo palo. Si mettevano in modo da ostruire la visuale al portiere".
Coraggio, tecnica e qualche grammo di lucida follia: così Palanca chiuderà la sua carriera segnando - record ad oggi ancora inscalfibile - la somma monstre di 13 gol da
calcio d'angolo. Una specialità che oggi porterebbe in dote gruzzoli di punti a qualunque club, guadi salvifici in stagioni logoranti. Solo che non è per tutti. Solo che di Massimo Palanca ce n'è stato uno soltanto.
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