Cerca furentemente riscatto. Vuole mettersi alle spalle tutti i patimenti che il fato gli ha inflitto nell'ultimo periodo. Adesso il piede sinistro non sembra dare seccature. Sintomo che le cure devono aver funzionato. Quella occlusione ai vasi sanguigni glielo rendeva una lastra di ghiaccio. Non sembrava pensabile, invece era accaduto proprio a lui. Forte sul campo da calcio, oggetto di venerazione da parte delle donne, apprezzato dal regime: eppure anche Giuseppe Meazza, il bomber più prolifico della storia interista, aveva dovuto fermarsi.
Triste, moltissimo, per uno che ha giocato 13 anni di fila con la maglia dell'Ambrosiana Inter, disputando 348 partite e spingendola dentro duecentoquaranta volte. Per uno abituato a sorseggiare coppe di champagne in centro a Milano, contornato da folle di adulatori, subito dopo ogni partita. Per uno che ha vinto due campionati del mondo, gli scudetti e pure la Coppa Italia, dominando, con quel draconiano acume calcistico, le classifiche cannonieri nazionali ed europee.
Però adesso l'attesa è finita. Beppe è rimasto a riposo fin troppo. Ha ricevuto le visite continuative di amici e parenti, mentre fremeva su un letto o al massimo stravaccato sul divano di casa, i giornali in resta per sapere come andava il campionato, il desiderio schiumante di vederci nuovamente il suo nome inciso sopra. Una volta svanita la sindrome del piede gelato è tornato ad allenarsi con vigore. Solo che l'accordo che lo legava all'Inter è ovviamente ormai dissolto e sulla sua forma fisica, adesso, i nerazzurri nutrono più di un dubbio.
Chi invece non intende lasciarsi sfuggire la chance è il Milano - il nome assunto all'epoca dal Milan - che valutando più che decenti le sue condizioni fisiche lo ingaggia. Si consuma così un tradimento che i tifosi della Beneamata faticano tremendamente a deglutire, anche se in fondo l'Inter non ha spinto per riaverlo. Ma la beffa non è ancora del tutto completa, perché Beppe sta per assestare una mazzata in campo di quelle che fanno sanguinare interiormente.
Scocca il 9 febbraio del 1941, l'ora di un altro round, il giorno in cui abita un altro derby di Milano. Sono entrambe sul podio, alle spalle del maestoso Bologna di Felsner. C'è da metter via punti, insomma. Quando le formazioni scendono in campo in molti, sugli spalti, appaiono straniti. Qualche interista vorrebbe fischiare Meazza, ma poi quel livore si smussa rammentando i bei tempi andati. Qualche milanista è perplesso: il giudizio resta sospeso, perché comunque quello lì ha fatto tredici stagioni sull'altra sponda.
Inizia meglio l'Inter, che passa subito con il suo leader carismatico, Annibale Frossi. Però poi proprio lui si fa male, deve uscire e all'epoca non sono previsti i cambi. Nerazzuri in dieci. Sembra in salita, ma il Milan si incasina con un autogol di Boniforti: 2-0 Beneamata all'intervallo. Meazza, fino a quel momento, è riuscito ad assestare soltanto qualche sponda interessante e nulla più. Non sembra quello d'un tempo.
Nella ripresa però i rossoneri accorciano con Cappello, che poi fallisce anche un rigore. Il pareggio tarda ad arrivare, ma a sette minuti dalla fine la palla scorre in direzione di Meazza che, ricordando la sua vocazione genetica, la sbatte dentro e non esulta. Due a due. Giuseppe ha appena fatto gol all'Inter con la maglia del Milan. Ora le torme sui gradoni si suddividono tra costernati e felicissimi.
Quel giorno fa strano a molti, ma Meazza proseguirà la nuova avventura - pur lontana dai successi della precedente - e in fondo alla carriera tornerà di nuovo all'Inter, come a chiudere un cerchio. Mettendo tutti d'accordo come solo i campioni autentici, in fondo, sanno fare.
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