“Ci dite il nome di tre giocatori del Qatar?”. La domanda è diretta, ma di quelle che vengono giù lisce. La risposta dovrebbe risultare altrettanto disinvolta. Specie se indossi una maglietta della nazionale che ospita i mondiali di calcio. E invece nisba. Vuoto siderale. Nugoli di tifosi che sfoderano sorrisi incerti fuori dallo stadio Al Bayt e scorrono oltre. Il reporter prova ad intercettare un’altra cricca di sfegatati fan qatarioti, ma il risultato rimane deprimente. C’è chi bacia la maglia senza avere la più pallida idea di chi sia il centravanti titolare della nazionale. Chi sventola bandiere festanti, ignorando bellamente chi difenda i pali.
È una colata di plastica fusa sui sentimenti di chi nel gioco, oltre la caterva di contraddizioni che lo ammantano, ci crede sul serio. Di chi ritiene che possa essere pretesto e via di fuga, metafora di una un’esistenza scandita secondo il ritmo altalenante delle stagioni calcistiche. Provate a socchiudere le palpebre e ad immaginare per un istante soltanto il Paul Ashworth di Febbre a Novanta calato in questo deserto emozionale. Impensabile. Perché il calcio – lo dice fissando il soffitto in una delle porzioni più intime del film – ha significato troppe cose per lui. E troppe continua a significarne. Accostamento stridente ma necessario.
I cosplayer dei tifosi sono l’ultima deriva di uno sport avvitato su sé stesso, appesantito da tonnellate di banconote capaci di attutire ogni rumore. Così quando il palazzo cade mica lo senti. Sta passando, in Qatar, il peggiore dei battage pubblicitari possibili. La sensazione diffusa che ogni cosa abbia un prezzo e tutto possa essere premuto nel carrello, con una carta di credito abbastanza spessa. Nessuna acqua calda un cui intingersi: che le palanche muovessero il carrozzone si sapeva, ma a questo mica ci eravamo mai arrivati. Gli emiri conducono la sterilizzazione del romanticismo ad un nuovo inesplorato livello.
In mezzo ci sono loro, gli sparuti supporter ecuadoregni sul serio che dagli spalti gridano: “Queremos Cerveza!”. Vogliono le birre, ma da queste parti le hanno messe al bando. L’appello si leva contro il cielo qatariota, destinato a non sortire frutti. Resteranno a bocca asciutta perché qui la religione si fonde con la legge e pazienza per i feticisti della doppio malto.
Ma a scrutarlo così, questo incipit, pare
davvero di essere nel bel mezzo di una rassegna circense. Attori che recitano una parte scadente (lautamente ricompensati?), frullati ad una folla di gole assetate. Sentimenti di plastica per occhi appannati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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