Che l’avvicinamento ai mondiali di Qatar 2022 sia molto diverso dal solito è quasi un’ovvietà, ma le differenze stanno diventando tali da far rabbrividire anche il più sfegatato amante del calcio. Avevamo avuto sei anni per abituarci all’idea di un mondiale invernale, di una stagione calcistica troncata a metà e delle inevitabili conseguenze sulla regolarità delle competizioni per club. Forse, però, non ci eravamo ancora resi conto di quanto profondamente surreale fosse la prospettiva di disputare l’evento sportivo più seguito al mondo in un paese che, con tutta la carità cristiana, non si può che definire al massimo discutibile. Lasciando da parte le accuse sulle morti bianche nei cantieri ed il trattamento atroce riservato ai lavoratori stranieri, la cronaca di queste ore ci ha consegnato due eventi che ci hanno lasciato francamente basiti.
La querelle dei tifosi falsi
Iniziamo con l’autogol mediatico che sta facendo ridere mezzo mondo: i video circolati su TikTok con tifosi farlocchi. Il canale ufficiale Qatar Living, seguito da centinaia di migliaia di utenti sulla piattaforma social, ha pubblicato negli ultimi giorni una serie di video che, nelle intenzioni degli autori, avrebbero dovuto mostrare come il mondo fosse arrivato a Doha per celebrare la festa del calcio. Uno dopo l’altro, gruppi di tifosi, con bandieroni, magliette delle proprie nazionali, sciarpe, tamburi, scatenati. Tutto bene all’apparenza, fino a quando non ti accorgi che i tratti somatici di questi tifosi sono piuttosto sospetti. Invece dell’arcobaleno delle società moderne sono tutti uguali: pelle moderatamente scura e lineamenti che tradiscono le loro origini asiatiche. I frequentatori dei social hanno fatto uno più uno: visto che di tifosi veri non ce n’è nemmeno l’ombra, l’unico modo di girare video del genere è andare nei vari cantieri ancora aperti, reclutare un tot di lavoratori del subcontinente indiano e provare a spacciarli per tifosi veri. I dubbi vengono subito a galla: magliette originali neanche a parlarne, sciarpe generiche, uso massiccio di tamburi e vuvuzelas, anche per nazionali che mai si sognerebbero robe del genere, come inglesi o tedeschi. Il sarcasmo della rete, che in questi casi sa essere davvero perfida, non ha atteso le conferme del caso, scatenando una tempesta mediatica all’insegna dello sfottò senza freni. Tifosi falsi, quasi sicuramente pagati per nascondere al mondo la verità di una città che a malapena si è accorta che il circo più grande del mondo sta per aprire i battenti. Strumenti usati da un video all’altro, tifosi che un momento vestono la maglia di CR7 e subito dopo quella di Harry Kane, assenza di tifose donne, che a un mondiale non mancano mai, insomma una figuraccia epocale. La sdegnata risposta del comitato organizzatore che ha negato fermamente di aver usato attori per girare i video è stata più o meno ignorata da tutti. Invece di creare l’atmosfera giusta per la festa, il risultato è stato di puntare i riflettori sul fatto che il Qatar è un paese molto diverso dall’immagine cosmopolita, multiculturale e moderna che vorrebbe presentare al mondo. Coprire d’oro campioni come David Beckham non servirà a nascondere a tutti come questo paese ricco solo di petrodollari sia stato una pessima scelta per ospitare il mondiale.
Le minacce ai giornalisti
Visto che le disgrazie non vengono mai da sole, ecco un’altra tegola. Proprio quando mantenere un’immagine immacolata sarebbe stato cruciale, ci si è messa di mezzo anche la security del torneo. Nel bel mezzo di una diretta con lo studio a Copenhagen, il giornalista della televisione pubblica TV2 è stato interrotto dalla security dei mondiali, che ha costretto gli operatori a spegnere la telecamera. Le parole del giornalista Rasmus Tantholdt riflettono il sentimento di molti: “avete invitato il mondo a venire qui ed ora ci impedite di lavorare? Ci volete rompere la telecamera? Sul serio?”. Nel giro di qualche minuto, le immagini della diretta hanno fatto il giro del mondo, scatenando reazioni sdegnate. Qualche ora dopo sono arrivate le scuse di rito, che però non hanno convinto tutti. Dopo aver verificato gli accrediti ed il permesso per le riprese, la security si sarebbe scusata, permettendo alla troupe di riprendere a lavorare. A far sollevare più di un sopracciglio un passaggio dello stringato comunicato delle autorità che avrebbero “ricordato a tutti gli operatori accreditati di rispettare i limiti dei permessi per le riprese in vigore durante il torneo”. Non ci vuole molto per capire come quello che in molti sussurravano sia in effetti una realtà: per evitare problemi e, magari, dare voce agli attivisti che nell’ombra protestano contro la mancanza di democrazia nell’emirato, ci sono zone dove le troupe televisive possono operare ed altre che invece dovrebbero evitare di riprendere. Il fatto che, poi, ad essere colpita sia stata proprio una televisione danese non dovrebbe sorprendere nessuno. Gli uomini di Solbakken sono stati tra i pochi che non hanno nascosto il loro imbarazzo nel giocare in Qatar. A testimoniarlo la maglia della nazionale senza sponsor e la terza divisa nera, in memoria delle migliaia di morti nei cantieri degli stadi.
Qatar, tanti soldi e una società malata
Nonostante gli organizzatori stiano sicuramente facendo di tutto per gettare acqua sul fuoco incidenti del genere potrebbero ripetersi nelle prossime settimane. Non è certo la prima volta che un mondiale si organizza in un paese non democratico, la FIFA non ha mai avuto problemi a concedere il privilegio a dittature feroci come l’Argentina di Videla del 1978 o la stessa Russia di Putin quattro anni fa. In entrambi i casi si trattava di paesi complessi, variegati, finiti per un accidente della storia sotto il tallone di forze repressive. Il Qatar, come gli altri stati del Golfo Persico, è molto diverso. Un paese controllato da un’oligarchia miliardaria, alimentata dai profitti del petrolio, dove la classe media non esiste, che si tiene in piedi solo grazie a lavoratori stranieri, molti dei quali in condizioni di semi-schiavitù, è una roba del tutto diversa. Senza addentrarci in discussioni geopolitiche o sociologiche, la presa degli emiri sul potere è molto più tenue di quanto sembri all’esterno. Sotto il lusso sfrenato e gli eccessi da influencer si nasconde il fuoco della rivolta, che potrebbe scatenarsi da un momento all’altro, come successe in Bahrain qualche tempo fa. Per non parlare, poi, della tenuta della stessa élite che domina il paese da decenni, divisa in fazioni l’una contro l’altra armate che sgomitano perennemente per conquistarsi il favore del sovrano. In una società come quella araba, dove fare brutta figura è un’offesa imperdonabile, qualcuno potrebbe persino lavorare per causare incidenti del genere, tanto per fare uno sgarbo ai rivali di sempre. Speriamo ovviamente che questi siano solo casi isolati e che il resto del mondiale sia pieno solo di belle partite e gol spettacolari.
Temiamo, però, che le cose non andranno affatto così e che questa volta tutta la propaganda del mondo non riuscirà a nascondere che, di questo passo, il miliardario circo del pallone rischia davvero di implodere su sé stesso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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