I giudizi di Parisi su una presunta questione morale sono «inammissibili e irricevibili» ha dichiarato Vannino Chiti, coordinatore della segreteria Ds, e Sandro Bondi coordinatore di Forza Italia da parte sua ha così commentato: «Miscela di rancido e ipocrita moralismo». È la inusuale convergenza dei responsabili dei due maggiori partiti italiani a sollecitare una riflessione su quel che significa l'inopinata sortita di Arturo Parisi, braccio destro di Romano Prodi. A pochi mesi dalle elezioni, e quindi dalla formazione di un nuovo governo, è utile comprendere quel che davvero agita le forze politiche che si candidano alla direzione del Paese.
A me pare che l'attacco di Parisi diretto ai partner di centrosinistra e segnatamente ai Democratici di sinistra, assuma un duplice significato. Da un lato si proponga di reintrodurre nel dibattito con il popolo di sinistra un allarmismo capace di solleticare gli istinti viscerali riconducibili al moralismo giustizialista e alla demonizzazione dell'avversario. Dall'altro il messaggio di Parisi, ribadito ancora ieri dallo stesso Prodi anche se in forma più edulcorata, tende a rafforzare la scarsa legittimità del candidato leader del centrosinistra scavalcando i partiti e facendo un diretto appello agli elettori.
Quel che dunque inquieta nella vicenda è il calcolo - perché in campagna elettorale sempre di calcolo si tratta - del duo Parisi-Prodi sulle potenzialità che il richiamo al moralismo antipartitico, anticamera del giustizialismo, esercita ancora sull'intera sinistra italiana, e non solo sulle frange radicali. Evidentemente Parisi-Prodi stimano che la vera cifra che può unire la sinistra, può raccogliere voti e, domani, deve ispirare l'eventuale governo, è la riproposizione di un infausto passato. Si vuole ricreare il clima che caratterizzò i primi anni Novanta su iniziativa dei post-comunisti che si mossero in consonanza con la parte più aggressiva della magistratura inquirente.
Non si comprende una mossa così azzardata del quasi candidato premier della sinistra se non si considera l'estrema precarietà della sua leadership. Prodi non riesce a legittimarsi in positivo, con proposte politiche, obiettivi di governo e visione del futuro. Ha bisogno di qualificarsi «contro» anche in maniera clamorosa: ieri contro l'operazione di peacekeeping italiana in Irak, oggi contro il partito perno della sua coalizione, proprio nel momento in cui i diesse adottano una politica ragionevole sostenendo Claudio Petruccioli ai vertici della Rai. È ben strano che un tecnocrate come Prodi, che ha costruito la sua carriera nelle partecipazioni statali fonte inesauribile di corruzione politica, si accorga solo ora che vi sono troppe commistioni tra politica ed economia, e lo faccia senza esporsi direttamente.
L'unico conforto in questa poco edificante denunzia di una supposta questione morale che si vuole artificiosamente rinverdire a fini strumentali, è la reazione che ha suscitato nei gruppi dirigenti più responsabili di gran parte dei partiti, di centrosinistra come di centrodestra.
m.teodori@agora.it
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