Diego Pistacchi
da Genova
Disteso sulla sua brandina. Le braccia incrociate tra la testa e il cuscino. Silenzioso. Riflessivo. Sempre educato. La prima notte di carcere a Marassi ha riportato Paolo Calissano alla realtà della cella d’isolamento. Ma non l’ha cambiato. Sempre cortese con i poliziotti a guardia della stanzetta e sempre infilato in quella maglietta nera che si è messo chissà come e perché domenica a mezzogiorno, quando è dovuto andare in questura. O piuttosto quando ce l’hanno portato, perché in casa sua, nel suo letto, era stata trovata morta una ballerina brasiliana. Morte per overdose di cocaina, lo conferma anche il giorno dopo l’autopsia. Morte per un festino andato oltre il limite, nell’esclusivo appartamento di via Boselli, nella Genova che più bene non si può.
L’attore non aveva un cambio di biancheria, ha assaggiato i biscotti e il caffelatte perché il rancio quello offre. E perché ancora non poteva parlare con nessuno. Oggi lo farà con il magistrato e con il suo avvocato, Carlo Biondi, che ha già chiesto di farlo uscire di galera. E che ha chiesto una perizia psichiatrica: Calissano è caduto nel giro della droga per via della depressione, assicura, e uno specialista potrà dimostrarlo. In cella intanto si è comportato da detenuto modello, tranquillo, consapevole di quanto è accaduto, mai arrogante. Come se il terremoto provocato dalla notizia restasse davvero fuori dalle sbarre. Come se i pareri degli esperti che spiegano cos’è il Narcan, il medicinale che lo ha salvato quando era in stato confusionale nel suo letto accanto alla ballerina morta almeno un’ora prima, servissero per un’altra storia. Come se i suoi compagni di viaggio sull’«Isola dei famosi» stessero rispondendo ai giornalisti su quanto accaduto a un’altra persona.
Un atteggiamento che questa mattina potrebbe far rientrare il provvedimento della detenzione in carcere. Quando il giudice per le indagini preliminari Elena Daloiso lo avrà ascoltato, potrà decidere se accogliere almeno la richiesta degli arresti domiciliari per l’attore genovese. Perché le accuse di cessione di sostanza stupefacente e di morte in conseguenza di un altro reato restano. Magari potrà cancellare quelle parole poco coerenti dette ai poliziotti della squadra mobile in questura. Quei «non so» e quei «la droga non era mia», che non hanno convinto i poliziotti quando ancora lui era solo un testimone.
Anzi, ora gli inquirenti hanno in un certo senso bisogno di Paolo Calissano. Perché l’indagine non si ferma alla morte di Ana Lucia Bezerra Bandeira e punta a scoprire chi sono i fornitori dell’attore. Hanno già un’idea abbastanza precisa, perché la cocaina che circola nella Genova d’alto borgo ha già fatto diverse vittime. Anche dopo la morte della contessa Francesca Vacca Agusta la polizia era risalita fino agli spacciatori del levante cittadino che avevano procurato la «roba» alla nobildonna. E poi un’indagine clamorosa aveva provocato un mezzo terremoto anche nel mondo del calcio, con un noto giocatore della Sampdoria interrogato più volte come «persona informata» su certe serate oltre le righe. Gli interrogatori sono stati solo interrotti, ieri.
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