LA CANTAUTRICE RAPALLESE SI ESIBIRÀ LUNEDÌ SERA AD APRICALE (IMPERIA) CON IL TEATRO DELLA TOSSE

LA CANTAUTRICE RAPALLESE SI ESIBIRÀ LUNEDÌ SERA AD APRICALE (IMPERIA) CON IL TEATRO DELLA TOSSE

«Giua» lo ascolti dopo aver parlato con lei, con Maria Pierantoni Giua, nella sua casa di Rapallo, il soggiorno «ingombro» di chitarre e libri d'arte, i cuscini dipinti, il comò della nonna, il mare e la palma di traverso dalla finestra. «A due sorsi dal mare/ c'è una casa ubriaca/ sono occhi a guardare/ dove l'acqua si crepa». L'inizio di una delle dieci canzoni di «Giua», parole in fuga arpeggiate: ti ronzano in testa, a riorganizzare la storia di una cantautrice di 25 anni che nel 2003 si aggiudica il Premio «Voci e Volti nuovi» di Castrocaro e il Premio Lunezia, e nel 2004 il prestigioso Recanati.
Taccuino e lapis, la musica in testa e i pensieri a mordere. Semplice, Maria, senza un filo di trucco, i capelli raccolti e i gusto d'Irlanda di «Un uomo tranquillo». Poi ti spiazza con suoi quadri nell'altra stanza, astratti, manipolati: le piace la materia e il materiale, scolpisce la tela, spalma il colore con le spatole e ci incolla fiammiferi. Aspetta che raccontino il lato B del suo vinile sigillato su disco fisso. Arte e canzone. Si prende il suo tempo per dipingere. Il lato colorato del moto perpetuo che agguanta il suo tempo in musica. Giua di canzoni e quadri e testi in corsa, con la parola a ritoccare la parola. Dalla Rapallo con i tempi da provincia glamour e il pensiero rarefatto al sole. Macchè, Maria pensa e scrive e suona. Sempre. Mamma ligure e papà nato in Venezuela, nonno marchigiano e nonna siculo-sarda: «Giua viene da lì» sottolinea Maria, che s'aggrappa a tutte le sue anime e cresce musicalmente tra il Mediterraneo e il Sud America. La canzone popolare e il colpo d'ali del pensiero. «I miei sono architetti, ma papà suona e canta benissimo. Fin da bambina ho visto girare chitarre per casa e nelle orecchie ho quelle canzoni». Costanti, a ripetizione, naturalmente sue. Prima canta Maria, poi impara a suonare. E intanto scrive. «Era un modo per dire la mia», a bracciate, in quel mare che guarda creparsi dalla finestra. Le piace la commistione, le piace riascoltare i brani e approfondirli. Passione e studio. Allora senza sapere ancora dove andare, il gusto di sperimentare e la ricerca a pelo d'acqua, di metafora in analogia.
Poi la svolta sul serio. «A 17 anni incontro Armando Corsi che mi rivoluziona la vita. Capisco che quella passione poteva diventare un mestiere. Avevo tantissime idee e nessun progetto chiaro. Con lui comincio a lavorare sui miei testi e imparo a dare un nome a quanto mettevo in note e sulla pagina. Poi Armando mi fa suonare i suoi pezzi». Cresce Maria, ultimo anno di liceo scientifico e in concerto con Armando Corsi, da mancare il fiato: «Mi portava con lui, sul palco suonavo e cantavo. Dalla musica brasiliana al fado portoghese. Mi esercitavo per ore alla chitarra». Maria si racconta liscia senza accenti, specchio delle melodie che intona, che non scindi la donna dall'artista. «La strada la metti insieme tu, sono i tuoi incontri e l'intuizione di coglierne la valenza».
Prova i concorsi Maria, quasi per caso, quasi per capire cosa c'è «di là dal fiume». E vince. Castrocaro, Lunezia, Recanati: è il 2003 dell'anima sua. Sempre nel 2004 Giua si aggiudica la borsa di studio I.M.A.I.E. per la miglior interpretazione e ottiene il «Premio Regione Liguria» nella categoria «Giovani talenti». Il 2005 è l'anno della seconda edizione del Mantova Musica Festival in cui si aggiudica il primo premio tra gli esordienti e una sempre maggior attenzione da parte dei media. In tasca il taccuino sempre. Nessuna tecnica di scrittura. Sfata il mito dell'ispirazione, annota i pensieri che si organizzano da soli e decantano in canzone. Maria arriva dal Novecento di Montale, dal male di vivere in volo sul labirinto a sfumare gli abissi. Arriva da Freud : «Se Freud è amore al pensiero dell'altro, sarei onorata di pensarlo nelle mie canzoni» e in «Ortiche» canta: «Ho perso la prima ora/ ed era l'unica che non c'era/ E ancora scordo le chiavi/ e ho un soldo nel portafoglio Ma rido ancora di quella sera/ mancava solo l'uomo che non c'era».
Conosce Beppe Quirici, musicista e produttore tra i più importanti della canzone d'autore italiana (Gaber, Mina, Fossati): «Ha creduto in me in un tempo in cui manca lo spazio per proporre idee nuove e con lui ho prodotto il io mio primo CD».
Bella storia, da Rapallo ai palchi d'Italia e Germania. Poi di nuovo a raccogliere e raccontare i trailer della sua vita, l'emozione dell'interpretare i pezzi di altri. Con il lavoro su Faber promosso dalla Fondazione De Andrè «che riprenderemo in autunno» assicura Maria. Poi la performance con il Teatro della Tosse sui poeti liguri ispiratori dei cantautori: «canto in mezzo alla gente, ho capito qui il bisogno del contatto e del rapporto con il pubblico». Tante esibizioni dal vivo: sul palco la tavolozza è completa con la violoncellista Martina Marchiori (Fossati, Gaber, Nannini tra le sue collaborazioni), il chitarrista Claudio Borghi, alle percussioni Marco Fadda e Vittorio Marinoni. Maria sta aprendo alcuni concerti degli Avion Travel, «Fausto Mesolella ha suonato in due pezzi miei». Poi il lavoro a nuovi testi: «Sto cambiando molto: voglio eliminare il concetto di sfera e aprirmi sul mondo. Non puoi prescindere dalla realtà». In divenire e con la testa ben piantata all'oggi.

La parentesi a Shangai dal 16 al 24 agosto ad esporre i suoi quadri con Artour-o, «un altro modo di suonare». E di nuovo musica. Prima ad Apricale (Imperia), lunedì sera, poi con «Intermittenze» il 4 settembre a Mestre, insieme a Tiziano Ferro e Luis Bacalov. Maria sorride, in contro luce dalla finestra vista golfo. Ed è arte.

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