Il canto del cigno della lobby

È passato più o meno un anno e mezzo da quando la Confindustria montezemoliana (cautamente perché spaventata dalla rivolta della base a Vicenza) ed esplicitamente il Corriere della Sera appoggiarono il governo Prodi: la scelta era espressione della volontà di un accrocchio di poteri finanziari, editoriali e confindustriali (che io ho definito il piccolo establishment) che cercava di salvare un sistema di influenze in una situazione difficile. Nell'aprile del 2006 Romano Prodi non vinse le elezioni ma riuscì ad avviare un percorso di potere che da una parte lusingò dall'altra intimorì il piccolo establishment. E quest'ultimo non ebbe il coraggio di chiedere con forza l'unica soluzione decente: un governo di unità nazionale che preparasse nuove regole, sistemasse alcuni elementi della situazione economica e riportasse al voto. Ora di fronte al disgregarsi di una maggioranza politica che anche lui ha contribuito a determinare, il presidente di Confindustria a Capri invece di aiutare la riflessione su ciò che è avvenuto e sulle proprie responsabilità, continua a dare lezioncine politiche su quando si può andare a votare, su quale deve essere il sistema elettorale e così via. Cerca di usare un po' di onda antipolitica per farsi spazio. Naturalmente calibra le prese di posizione anche per ottenere vantaggi per i suoi rappresentati, ma lo fa in modo confuso, tale da fare sospettare a larghi settori della sua stessa base sociale che si favoriscano (come è spesso capitato nell'azione di Luca Cordero di Montezemolo) solo certi comparti industriali, innanzi tutto quelli più «grandi». O che si stia rincorrendo esclusivamente una qualche visibilità.
C'è anche qualche residua aspirazione politica nell'agire di quel che resta del piccolo establishment, nella presidenza montezemoliana ormai in scadenza, nella linea del Corriere della Sera? Ci sarebbe la vaga speranza di una fata turchina, Walter Veltroni, che grazie a una fase di transizione di un governo tecnico riprendesse le fila di uno schieramento di centrosinistra, anche valorizzando al meglio uomini come Montezemolo. Aspirazioni legittime. Non si tratta di complotti. Sono manovre quasi interamente alla luce del sole. Ma che francamente appaiono un po' disperate: settori che davano un appoggio decisivo al piccolo establishment, dalla Fiat all'Unicredit che ha incorporato la strategica Capitalia, sono guidati da uomini che magari preferiscono il centrosinistra al centrodestra, ma che si rifiutano di prestarsi a una gestione politica di funzioni imprenditoriali. Grandi protagonisti del piccolo establishment, come Cesare Geronzi e Marco Tronchetti Provera, stanno ripensando al proprio ruolo pubblico, ridimensionandone la valenza politica (o istituzionale, come si dice tra persone beneducate). Quel che resta del piccolo establishment sta dunque recitando il proprio canto del cigno non solo puntando su una personalità al fondo fragile come Veltroni ma essendo anche senza più solide base di potere.

Il momento in cui Confindustria tornerà a essere essenzialmente un sindacato di imprese, dimenticando i giochi da lobby politica, è vicino. Quasi quanto quello in cui il popolo sovrano potrà indicare un governo che governi.
Lodovico Festa

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