Caos Opel, scandalo Porsche: addio mito tedesco

Berlino«Sembra di stare in un suk del Medio Oriente», sbottò un collaboratore di Sergio Marchionne uscendo dalla cancelleria di Berlino la notte in cui la Fiat abbandonò le trattative per il salvataggio della Opel. Non si riferiva tanto al gioco al rialzo avviato dai tedeschi fin dalle prime battute del negoziato, inevitabile quando i potenziali compratori sono più di uno, quanto alla confusione della controparte. Divisioni tra i ministri competenti, litigiosità tra i governatori dei Laender in cui si trovano gli stabilimenti della Opel, scarso interesse per gli aspetti puramente industriali delle offerte in campo, massima attenzione, invece, alle ricadute elettorali di ogni decisione (fra sei settimane in Germania si vota). Insomma quella che doveva essere una trattativa puramente tecnica si è subito rivelata una partita in cui gli interessi politici sono determinanti e in più giocata con una spregiudicatezza che contrasta con i principi di coerenza e trasparenza che una volta erano il fiore all’occhiello dell’economia tedesca.
Da allora sono passati tre mesi, la trattativa per salvare la Opel è ancora in alto mare e il clima non è cambiato. Anzi è diventato ancora più pesante e il peso della politica si fa sentire non solo sul versante tedesco ma anche su quello americano poiché la General Motors, proprietaria della Opel, nel frattempo è stata nazionalizzata e la Casa Bianca non è certo entusiasta all’idea che una azienda altamente tecnologizzata come la Opel cada in mani russe come prevede l’offerta della Magna, appoggiata a spada tratta dai tedeschi ultrasensibili alle pressioni di Mosca.
Secondo il Financial Times l’unico punto fermo per il momento sarebbe un accordo tra tutte le parti coinvolte per evitare licenziamenti fino al 27 settembre che guarda caso è il giorno delle elezioni. Cosa succederà dopo non si sa ma forte è il sospetto che, appena chiuse le urne, politici e manager si sentiranno meno motivati nella difesa dei posti di lavoro. «Ludwig Erhard si rivolta nella tomba» ha scritto il Die Welt alludendo alle massicce ingerenze della politica nell’economia. E il caso Opel non è neppure il più clamoroso. Basti pensare al salvataggio della Hypo Real Estate, banca specializzata in servizi immobiliari, costato finora 102 miliardi di euro. E poiché sembra che questa cifra non basti il Bundestag ha aperto un’inchiesta in cui il principale imputato è il ministro delle Finanze Steinbrück, grande sponsor dell’operazione. Nella battaglia tra Wolkswagen e Porsche per la fusione dei due gruppi la politica non c’entra ma nelle operazioni in Borsa che hanno accompagnato il duello molte cose non sono chiare tanto che l’ex numero uno della Porsche, Wendelin Wiedeking, è indagato per manipolazione di mercato e diffusione di notizie riservate nell’ambito della scalata.
«Tatort Deutschland» è il titolo di una inchiesta del Die Zeit. «Tatort» è il nome di una fortunata serie di polizieschi tv e vuol dire «luogo del delitto» che in questo caso è il mondo delle grande imprese tedesche. Lo scandalo più clamoroso riguarda un personaggio che si è sempre diviso tra business e politica, Peter Hartz, grande manager della Volkswagen ma anche autore della riforma del mercato del lavoro varata da Schröder. È stato condannato per aver ricevuto tangenti da capogiro che non si è mai saputo dove siano finite e per aver pagato a sindacalisti compiacenti viaggi di piacere rallegrati dalla compagnia di belle fanciulle. Neppure l’austera Deutsche Bank è immune da scandali.

Da anni è in lotta con l’ex magnate della tv Leo Kirch che l’accusa di aver causato il fallimento del suo gruppo e chiede un risarcimento miliardario. Per difendersi la Deutsche Bank si è rivolta ai detective che sono riusciti a infiltrare un’avvenente avvocatessa nello studio legale che difende Kirch. Altro che suk.

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