Caos tessere nella Margherita De Mita «imputato» insulta tutti

Roberto Scafuri

da Roma

Chi tocca certi fili ancora rischia grosso. Come ai tempi aurei della Dc, perché uno di questi fili ad alta tensione conduce direttamente al Ciriaco De Mita visto ieri sul banco degli imputati, davanti allo stato maggiore della Margherita. Rude, imperioso, a tratti sprezzante nei confronti dei suoi accusatori ulivisti. «La verità è che cercano pretesti, per creare casino, confusione, per legittimare la loro inconsistenza», è stata la frase più tenera lanciata a chi aveva posto la questione dei falsi tesseramenti in Campania e della pretesa di far votare ai precongressi locali persone sprovviste di certificato elettorale. La sua delibera, «regolarmente» approvata, è stata annullata dalla Commissione di garanzia del partito.
Uno schiaffo. Di più non si poteva pretendere. Ma è bastato per rendere il rospo indigeribile all’ex Re di Nusco, che nella riunione se l’è presa personalmente con gli accusatori. In particolare, con Roberto Manzione, senatore salernitano reo di aver «osato» fino alla richiesta di commissariamento dell’ex segretario della Dc. «È un emigrante errante, si sa da dove viene ma non dove andrà. Un provocatore», l’irosa descrizione di De Mita. Manzione, incamerata la vittoria in battaglia, non ha voluto replicare, se non nel merito: «L’annullamento del deliberato testimonia la presenza di anticorpi sani all’interno del partito. Comprendo quanto sia stato faticoso dire a De Mita “hai sbagliato, torna sui tuoi passi”, però è importante che sia successo». Mai stravincere, mai peccare d’oltracotanza. Anche perché l’atteggiamento demitiano pare aver colpito anche la proverbiale impassibilità di Willer Bordon, arrivato a dirsi dispiaciuto di «constatare che De Mita risponde in un modo che negli ultimi tempi sembra essergli diventato usuale: con gli insulti. Qualificano chi li lancia, io mi rifiuto di scendere a quel livello...».
E dire che la riunione era cominciata con l’appello del leader Rutelli: «Ma vi rendete conto che tra false tessere, questione campana e quella lombarda, addirittura con le denunce in Procura, qua il giocattolo rischia di rompersi? Diamoci una regolata...». Subito dopo, ecco però la baraonda. De Mita per se stesso, Fioroni per i mariniani, Soro per mettere la sordina a una situazione ormai fuori controllo: ogni rappresentante della maggioranza giocava la sua partita, ma gli ulivisti non demordevano. Il leader della seconda mozione, Parisi, condivideva l’assunto di non farne una questione «contro De Mita», ma insisteva a «sottolineare» il suo «disagio»: «c’è un problema generale di legalità: noi avevamo aperto un credito e ora, se ci sono problemi già nella definizione delle regole, figuriamoci nello svolgimento dei congressi!». Parole profetiche, visto che nella successiva riunione della Commissione di garanzia il clima era ancora peggiore. «Ancora vengono a proporre che si può duplicare il certificato elettorale ai seggi...», lamentava l’ulivista Natale D’Amico.

E la iperprodiana Marina Magistrelli, che oggi piomberà a Roma per la riunione plenaria di tutti i sottoscrittori della mozione parisiana, ammetteva che «la fase esecutiva degli accordi è faticosissima, troppe le anomalie in giro». Occorrerà molta «vigilanza democratica», ma chissà se basta.

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