Carabinieri a colazione nel covo di Provenzano

Il capomafia agli agenti di custodia: «Che Dio vi benedica»

Marianna Bartoccelli

nostro inviato a Corleone (Palermo)

Arrivavano nelle prime ore del mattino per una colazione di rara bontà: zabbina con pane casereccio. Quel casolare a Montagna dei Cavalli era diventato un punto di riferimento dei buongustai della zona. La ricotta non «cagliata» (rassodata) e ancora calda nella ciotola, che zu’ Giovanni preparava ogni giorno, era un appuntamento fisso per tanti. Anche di esponenti delle forze dell’ordine, che arrivavano sulla volante per iniziare la giornata dopo una buona mangiata di «zabbina». Ignari, come tutti gli altri avventori, che dietro la porta del magazzino accanto ormai da un anno vivesse il latitante più ricercato d’Italia. A saperlo era certamente il pecoraro che lavorava la ricotta e che ogni giorno ne portava una ciotola al suo illustre inquilino. Adesso anche lui, Giovanni Marino, è in carcere e la masseria è sottoposta a un meticoloso sopralluogo, alla ricerca di indizi e di un possibile nascondiglio di materiale informativo. Gli investigatori lavorano senza pausa: stanno già analizzando quel centinaio di «pizzini» e, sulla base dei codici già utilizzati per i bigliettini sequestrati dopo l’arresto di Giuffrè e anche di Virga (luogotenente trapanese preso cinque anni fa), tentano di individuare complici e protettori.
Cercano anche di individuare il medico che ha curato il boss, affetto da problemi di prostata, e sono sulle tracce di altri «postini». Un lavoro di indagine che si avvale dei rilievi dell’Ert, il gruppo Esperti ricerca tracce, della quarta divisione di polizia scientifica della Direzione anticrimine, che sta analizzando impronte ed eventuali reperti biologici lasciati da chi è andato nel casolare a trovare Provenzano.
Ieri intanto per la prima volta il boss si è incontrato con il suo legale di fiducia, Franco Marasà, nel carcere di Vocabolo Sabbione a Terni, dove il nuovo arrivato è sottoposto al 41 bis. Sarà il primo di una lunga serie di incontri per definire così una linea difensiva. Il colloquio si è svolto attraverso i vetri blindati sotto l’occhio vigile di una telecamera come impone il regolamento, per oltre un’ora. Non è ancora detto che Provenzano adesso intervenga nei vari processi in cui è coinvolto, cosa che potrà fare proprio da quel carcere che gode di impianti di videoconferenza.
Intanto il nuovo detenuto pare che stia misurando la nuova situazione nella quale si è venuto a trovare, e trascorre la maggior parte del suo tempo disteso sulla branda della cella, senza parlare, se non a brevi gesti. E quando gli portano il cibo (che accetta di consumare senza problemi) si rivolge a loro soltanto con una frase: «Che Dio vi benedica», oppure il «Signore vi protegga».
Zu Binnu, o Binu, come pare che in realtà venisse chiamato da chi lo frequentava, sembra quasi rassegnato a questa nuova vita, non più sotto le stelle e, ormai 73enne, dovrà abituarsi a 9 metri quadrati di cemento. E mentre le indagini procedono nella direzione di colpire tutti coloro che in qualche modo lo hanno protetto in questi lunghi anni, cominciano a nascere anche le leggende. Un suo compaesano, ad esempio, racconta che era chiamato «u tratturi» perché era capace di conquistare molte donne: «Quando era “picciotto” - racconta compare Ninu - era bello e fascinoso e “tratturava” molte femmine».

E in paese c’è chi lo ricorda quasi con affetto e giurano che non c’entra nulla con le stragi e i delitti, e c’è chi invece, come fa il sindaco del paese, Nicolò Nicolosi, ex-democristiano oggi nella Cdl, proclama l’11 aprile giorno di festa del comune.

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