«Non posso annoverarmi tra coloro che ne hanno condiviso la vita e conosciuto direttamente gli aspetti più intimi», scriveva qualche anno fa il cardinale Camillo Ruini di Giovanni Paolo II. Tuttavia - aggiungeva quasi in confidenza - «ho ricevuto tantissimo da lui» e «penso di averlo conosciuto profondamente». Una gratitudine che risuona negli scritti e nelle parole del porporato reggiano in questi giorni che precedono la beatificazione del Papa polacco. Interventi che, messi in fila, permettono di ricostruire la trama di un rapporto privilegiato, lungo venti anni, iniziato in quel di Reggio Emilia già nel 1984, ed esploso a Loreto l'anno successivo, in occasione del Convegno ecclesiale, quando Ruini fu proiettato sulla scena nazionale e poi voluto da Wojtyla ai vertici della Cei, ma soprattutto alla guida della diocesi di Roma come suo vicario (1991-2008).
Un’amicizia che si consolida a tavola, tra «pranzi o cene di lavoro» che però sono anche l'occasione - racconta Ruini - di conoscere «profondamente» questo Papa. È lo stesso porporato a consegnare a Benedetto XVI una sorta di petizione dei cardinali per avviare al più presto la causa di beatificazione: «Il grido “Santo subito“ esprime un sentimento diffuso e profondo e non qualcosa di istantaneo ed emotivo. Oltre questa richiesta popolare nel veloce processo di beatificazione ha influito la decisione di tanti cardinali che, prima che si aprisse il Conclave, hanno raccolto le firme per chiedere al futuro Papa di velocizzare il processo di beatificazione. Alla prima udienza che ebbi con Papa Ratzinger portai questa richiesta che venne subito accolta e in questo modo la causa è potuta cominciare subito».
Ha vissuto vicino a un santo, il cardinale Ruini ne è certo. Lui ne ha conosciuto in prima persona la grande umanità. Nelle visite alle parrocchie romane, per esempio (ne ha visitate 301 su 335), durante le quali era fedelmente al suo fianco: «Molte volte mi domandava: quando visitiamo le parrocchie? manifestando delusione di fronte ai rinvii». E quando arrivava «quante persone si commuovevano per il solo fatto di essergli accanto» e questi incontri rimanevano «incisi nell'animo dei sacerdoti». Ruini si lascia andare a un ricordo più personale, quando racconta della «onorificenza per la mia governante, Pierina Scandiuzzi» che il Papa firmò «sulla tavola della sala da pranzo in Vicariato, nell'unica occasione in cui fu mio ospite». Ne apprezza la dedizione per la diocesi e la città di Roma, di cui Wojtyla arriva ad anagrammare il nome «Roma-Amor» in un indimenticabile intervento in Campidoglio. Per la sua diocesi - ricorda sempre Ruini - ha voluto il Sinodo e la Missione cittadina, che per il suo collaboratore diventa una sorta di «testamento pastorale. Questa - osserva - è la Chiesa che egli ha voluto e oggi continua a chiederci di essere e di vivere: una Chiesa non ripiegata su se stessa» ma «una Chiesa che brucia dell'amore di Cristo». E rivela: «Sempre, anche da Papa, è stato uomo di concreta e radicale povertà. Viveva poveramente, in modo spontaneo e senza sforzo, sembrava non avere bisogno di nulla, era totalmente distaccato dal denaro e dalle cose». Giovanni Paolo II è «uomo di Dio» e «anzitutto un uomo di preghiera», immerso nella preghiera, che era per lui «spontaneo respiro dell'anima». Proprio per questo fu «un uomo vero, uno che ha gustato ed apprezzato fino in fondo il sapore della vita» e da cui tutti «abbiamo in qualche modo compreso che Dio non abita in regioni inaccessibili, ma è il Signore della vita e vuole stare al centro delle nostre vite».
Di Giovanni Paolo II lo affascina «la naturalezza con la quale trovava in Dio, nella sua fede in Dio, l'energia interiore e il criterio delle sue decisioni, specialmente delle più difficili», anche grazie alla sua capacità di «cogliere i segni dei tempi». Ma non chiamatelo «Papa politico»: «La realtà è un'altra - dice Ruini -: proprio la prospettiva di fede è la prima sorgente della sua capacità di fare storia», egli è perciò «guida morale e spirituale dell'umanità». Lo testimonia il suo impegno per l'Europa unita e a «due polmoni», ma anche la sua opera per la caduta dei regimi comunisti, l'impegno per la pace tra i popoli e il dialogo tra le religioni, il rilancio della Chiesa e del cristianesimo.
Diceva Ruini nell'omelia della messa di suffragio: «Nella Messa per il Papa defunto, Piazza San Pietro ha potuto diventare simbolo quanto mai eloquente non dello scontro di civiltà ma al contrario della grande 'famiglia delle nazioni». Parole che diventano auspicio per la prossima beatificazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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