Adesso che il G8 è proprio finito, che i presidenti e i primi ministri con tutte le signore al seguito sono tornati a casa, adesso che i cori di elogi mondiali durante e al termine dellincontro sono arrivati al punto da compensare abbondantemente su una virtuale bilancia del giusto e dellingiusto le calunnie e i boicottaggi, badate bene sputati addosso a noi, non solo al presidente del Consiglio eletto dal popolo, perché la forza dei fatti e del successo li hanno sgonfiati; adesso che il Financial Times bontà sua ammette che uno statista è uno statista anche se è italiano e miliardario e gli piacciono le donne, adesso che non solo lorganizzazione è sembrata ottima, ma anche i contenuti, la capacità di gestire i problemi e le persone; adesso che le soluzioni italiane per affrontare la crisi economica e riformare il sistema finanziario vengono portate ad esempio europeo; adesso che la scelta del luogo simbolico dove la calamità naturale ha colpito uomini e donne è riuscita perfino a farli sembrare umani e fragili questi politici che vivono tra un bunker e laltro; adesso che DAlema e Franceschini hanno sia pur in ritardo convenuto di tacere, Veltroni ha fatto pallidamente Uolter a rimorchio di George nespresso Clooney, ed è rimasto a sgambettare solo quel Tonino Di Pietro la cui vocazione eversiva è stata chiarita anche per i più duri di comprendonio; adesso forse è anche il momento che le operazioni di confronto le faccia lItalia, che ci diciamo «chi so io e chi si tu», non per calcolo meschino, solo per ristabilire le giuste proporzioni e un po di verità.
Una decina di anni fa, tredici per lesattezza, una famosa copertina del settimanale americano Newsweek recitava «London rules», è Londra, è lInghilterra che detta le regole del mondo, quelle economiche, politiche, sociali, la qualità della vita, il friccico dellarte, il vecchio rispettoso di tradizione vetusta, il nuovo che non ha un solo timore di misurarsi e di esporsi. Forse non era solo unesagerazione giornalistica, anche se decretava con una certa stolta leggerezza la decadenza di New York, che è una moda ciclica e sempre smentita. Era grande Londra nel 1996, forte di un leader laburista giovane, riformista e brillante, pronto a ereditare il meglio di quindici anni di rivoluzione thatcheriana. Tony Blair si godeva le fatiche e il coraggio della lady di ferro, fatto di esaltazione del libero mercato, sgravi fiscali, risposte a muso duro allo strapotere dei sindacati. Non aveva ancora fatto gli sbagli che lo hanno logorato. Ne cito uno solo che a me pare tremendo: la micidiale sottovalutazione del pericolo di cedimento allislam, reso possibile da un concetto liberal di integrazione. Ma allora, una decina di anni fa, lInghilterra ci guardava come sempre ha fatto come pezzenti, gli europei tutti, rifiutava sdegnosamente il giogo delleuro, si teneva la sua tronfia sterlina.
Oggi London does'nt rule anymore, non domina più, e se di spocchia sui giornali e nelle tv, ah la mitica Bbc, ne è rimasta tanta, altrettanto non si può dire della realtà. Oggi, e non è una provocazione, lInghilterra che chiedesse di usare la moneta comune europea, si sentirebbe rispondere che non obbedisce agli standard minimi richiesti. Oggi, questa è una pro ovazione, sarebbe più facile, se proprio qualcuno dovesse nel G8 o 14 che sarà lasciare il posto alla Spagna, è più facile immaginare che tocchi allInghilterra e non allItalia di guadagnare luscita. Naturalmente solo al Guardian poteva venire in mente una simile sciocchezza, data addirittura per probabile alla vigilia del vertice dellAquila, la usiamo su un quotidiano italiano solo per paradosso.
In Inghilterra lo scandalo dellabuso di rimborsi pubblici da parte dei parlamentari britannici ha incrinato la credibilità del «modello Westminster» tanto vantato allestero. Rimborsi spese utilizzati per scopi personali completamente estranei alla funzione pubblica svolta, spese false per ottenere più soldi dallo Stato, affitti o mutui per seconde case, due Lord laburisti accusati di aver chiesto denaro in cambio del sì ad alcuni emendamenti a una legge in discussione. Non sono bastate le pubbliche scuse di Gordon Brown, né la promessa di punizioni severe una volta che le colpe saranno accertate, né sono bastate la sospensione dalla carica di un deputato laburista sotto accusa e perfino le dimissioni del ministro della Giustizia coinvolto. Lopinione pubblica ha reagito duramente, e il voto lo ha confermato, alla corruzione e alla grave recessione che ha colpito la Gran Bretagna nellultimo anno. La crisi non investe solo il partito laburista che essendo al governo porta le più grosse responsabilità, colpisce lintera classe politica inglese.
Dal marzo 2008 al marzo 2009 la disoccupazione in Italia è aumentata di duecentomila persone, in Inghilterra di seicentoquarantasettemila, per tacere della Spagna, un milione e novecentomila. I consumi delle famiglie italiane calano questanno delluno e sette, per riprendersi già nel 2010; in Inghilterra tre e quattro questanno, due e dieci il prossimo.
Non solo Londra non domina più, ma bene farebbero i suoi coraggiosi e spietati giornali ad abbassare le penne, smettere i panni anti italiani, misurarsi con la dura realtà.
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