Le case hanno una loro storia che le assimila a chi le ha vissute. E per alcune personalità la casa è uno specchio dell'anima, e in essa rimane non il fantasma, ma l'ombra presente di chi l'ha abitata. Accade che, dopo la morte, per non disperdere lo spirito dei luoghi, una istituzione, una fondazione, una Università adottino e sostengano quei luoghi dedicati alla numinosa presenza di chi li ha vissuti e trasformati a sua immagine e somiglianza. È una forma di rispetto e di consapevolezza della forza che resta nelle cose, una trasmissione d'anima. Il pensiero corre al Museo Guggenheim a Venezia, sostenuto dalla omonima fondazione americana, alla villa I Tatti di Bernard Berenson a Settignano, sostenuta dall'Università di Harvard, alla casa e alla fondazione Cini a Venezia, alla Fondazione Longhi, nella Villa Il Tasso a Firenze, alla Fondazione Ragghianti a Lucca. Lo stesso può dirsi per le case dei poeti: Petrarca ad Arquà, Pascoli a Castelvecchio, D'Annunzio a Gardone, Gozzano ad Agliè, Moravia a Roma, Gerolamo Comi a Tricase, Lucio Piccolo a Capo d'Orlando.
Dopo la villa di Longhi in via Benedetto Fortini 30 a Firenze, meta di studiosi, collezionisti e antiquari, soltanto la casa di Federico Zeri a Mentana fu un vero e proprio santuario, frequentato per avere opinioni, pareri, expertises. Il viaggio a Mentana era un rito, e la casa, oltre che biblioteca e fototeca, in una formidabile organizzazione personale e rigorosa insieme, era una meraviglia di oggetti, di sculture, di stoffe, di epigrafi, memorabile e indimenticabile per qualsiasi visitatore. Non c'era un criterio museografico, ma di passione, di gusto, di scelte. Si andava a Mentana per vedere la realizzazione dei pensieri di Zeri nei disegni dell'architetto Andrea Busiri Vici, che aveva creato il contenitore per la più superba Wunderkammer mai realizzata da uno studioso, dopo Athanasius Kircher o Ferdinando Cospi. Nessuno poteva uscire indifferente dall'esperienza in quella centrifuga di sapienza e di bellezza, di oggetti antichi e moderni, lontanissima dal gusto funerario e ospedaliero di molti architetti contemporanei. Non è stata, per la casa di Zeri, neppure garantita una tutela per le iscrizioni e i frammenti antichi (venti dei quali recentemente rubati per l'incuria), considerate una delle più importanti raccolte private, dopo quella formata nel Settecento dal cardinale Alessandro Albani. L'iniziale decreto della Soprintendenza del Lazio, del 2003, fu infatti vigliaccamente impugnato nel 2006 dall'Università di Bologna, facendo ricorso al presidente della Repubblica e al Consiglio di Stato, e incredibilmente annullato.
Chi è il responsabile di questo scempio, di questa dissoluzione? Si potrebbe pensare a eredi avidi e interessati, e a un testamento-capestro, tanto puntuale quanto ambiguo: dipinti e oggetti al Museo Poldi Pezzoli di Milano, alcune sculture dell'Accademia Carrara di Bergamo, altre, del gruppo di Palmira, ai musei Vaticani, due mirabili bozzetti del Baciccio all'avvocato Lemme. Ma tutto il resto, nella mente di Zeri, non poteva non avere una unità legata al luogo, come centro di studi, anche per ragioni murarie: la biblioteca, la fototeca, la raccolta di 400 epigrafi romane, oltre a numerosissimi e notevolissimi dipinti. Se pensiamo che rimane integra, in uno spazio dedicato, la collezione di uno studioso gentile, ma certamente di minore vastità di interessi, come Alessandro Marabotti Marabottini, devotamente ricostituita in Palazzo Baldeschi di Perugia, sua città di vita e di studi, appare incomprensibile la metodica e sistematica dispersione della collezione Zeri, evacuata la casa di Mentana, con il pretesto della digitalizzazione delle fotografie che, come capite bene, non ha bisogno di una sede fisica diversa da quella originale.
Così la casa di Zeri a Mentana, costruzione del suo estro, è stata smantellata, abbandonata, e messa in vendita all'asta, magari per diventare un ristorante, un Bed & Breakfast. Il santuario sconsacrato, con una infinita malinconia. Come trasferire il culto di Padre Pio da San Giovanni Rotondo a Busto Arsizio. Zeri e Mentana erano una endiadi. Bologna, che lo ha scippato a Mentana e a Roma, era la città più lontana per vita, e anche per studi, da Zeri. Certo, era uno studioso universale, ma a Bologna avrà passato cinque giorni della sua vita. Nelle grandi mostre dei maestri emiliani del Seicento, curate da Francesco Arcangeli, Cesare Gnudi, Denis Mahon, Andrea Emiliani, Eugenio Riccomini, perfino Maurizio Calvesi, non c'è traccia di lui. Roma, le Marche, l'America, perfino Milano, erano nella sua orbita. La triste Bologna è diventata la sua tomba. Aveva cercato sostegno nel Getty Research Institut, senza fortuna. La chiamata per una laurea honoris causa lo porta a Bologna, e lui, generalmente così abile, e insensibile al fascino femminile, si lascia sedurre da una piccola e petulante studiosa, Anna Ottani Cavina, che sicuramente non gli prospetta un trasferimento da Mentana, ma la protezione della Università retta dal «massone in sonno» e magnifico rettore Fabio Roversi Monaco, che gli conferisce la laurea. Zeri gli restituì ben di più, lasciando a Bologna, inconsapevolmente, il suo patrimonio e la sua anima.
Lo spoglio di Mentana è raccontato in modo mellifuo dalla Ottani Cavina: «Con l'appoggio incondizionato del rettore Pier Ugo Calzolari e di un giovanissimo staff di studiosi, in tempi molto brevi la Fondazione Zeri ha conquistato una sede magnifica nel convento rinascimentale di Santa Cristina; realizzato il catalogo digitale della fototeca che è il più importante repertorio online della pittura italiana frequentato anche da storici, letterati e antropologi; ha riallestito la biblioteca di Zeri nella grande sala di quiete, salvando l'originale aggregazione tematica come costellazione del sapere».
Bene. Ma perché non a Mentana? Digitalizzare è una cosa, e si muove nell'aria del mondo; ordinare una biblioteca è un altra cosa. Quello che doveva essere, nella volontà di Zeri, un motore di studi, dove lui stesso aveva ricercato e studiato, è in condizioni di malinconico abbandono. La casa è chiusa dal 2010, ed è già in rovina, preda di vandali e indifesa dalla proprietà. Un grande amico di Zeri che, come me, si recava in pellegrinaggio a Mentana fin dai primi anni Settanta (io dal '77), Fabrizio Lemme, commenta con desolazione, incredulo e battagliero: «Neppure una settimana prima di morire, Federico mi chiamò telefonicamente e mi anticipò che sarebbe morto di lì a pochi giorni: aveva avuto una infausta premonizione e voleva urgentemente disporre delle sue cose. Mi chiese quindi di fornirgli il nome di un notaio ed io, dopo avere scherzato con il mio interlocutore su presagi e premonizioni (cui, forse a torto, non credevo, come ogni persona razionale), scelsi quello reputato il migliore di Roma, che si recò da lui il lunedì successivo. Federico aveva avuto, negli ultimi tempi della sua esistenza, molti contatti con l'Università di Bologna ed aveva ricevuto l'assicurazione di questa, nel caso fosse stata onorata da un legato del grande maestro, di istituire in Mentana una fondazione che avesse ivi gestito il suo patrimonio fotografico e librario. Coerentemente con queste assicurazioni, Federico legò all'Università di Bologna la Villa di Mentana (con esplicita menzione di tutte le epigrafi ed iscrizioni che la ornavano ed avevano, nella visione del testatore, autonomo significato ed autonomo valore); la sua Biblioteca d'arte, la sua Fototeca. Egli peraltro si astenne dal dettare al Notaio una clausola che gli avrebbe garantito il vincolo di destinazione da lui ritenuto implicito: vale a dire, una modalità del legato (artt. 647-648 c.c.), che avrebbe consentito al suo erede universale, l'unico nipote Eugenio Malgeri, di risolvere il lascito testamentario nel caso l'onere fosse restato inadempiuto».
A sollevare il caso fu, con un articolo di Tomaso Montanari, il quotidiano La Repubblica. Oggi lo stesso giornale, ignorando la vicenda, intervista la principale e garrula responsabile dello scempio, magnificandone l'impresa truffaldina, in favore dell'Università, l'istituzione più disprezzata da Zeri. Che lo manifestò platealmente a Bologna: «Non mi piace l'Università italiana. Non si può essere professori a vita. Bisogna sottoporsi a controlli e verifiche, che la società e i giovani richiedono.
Detesto i concorsi di cui si conosce con largo anticipo il vincitore e i docenti che procurano dei buoni posti alle loro favorite. La mancanza di controllo favorisce la corruzione...». Una tipica, emerita, favorita, con false lusinghe, lo ha spudoratamente ingannato. Ma non si sottrarrà alla maledizione di Zeri.
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