Il caso del bandito Giuliano, un altro testimone: «Il morto del 1950 non era lui»

La riesumazione del cadavere ha reso più fitto il mistero. E adesso spunta una nuova voce, quella dell'uomo che lo ospitò a casa la notte prima di morire: «Quello che venne ucciso era un suo sosia». La parola definitiva all'esame del dna del cadavere

Si infittisce il giallo della morte di Salvatore Giuliano, il bandito di Montelepre accusato della strage di Portella della Ginestra ucciso - almeno così si credeva, pur tra molti dubbi - il 5 luglio del 1950. La riesumazione del cadavere di quello che per 60 anni si è ritenuto essere Giuliano, disposta nell'ambito della riapertura dell'inchiesta, ha aumentato i dubbi sull'identità dell'uomo che per 60 anni è stato sepolto col nome del bandito. E adesso spunta un nuovo testimone: Gregorio Di Maria, l'«avvocaticchio» che ospitò a casa sua a Castelvetrano il bandito la notte prima dell'uccisione, sapeva che il morto non era Giuliano. Sapeva, e lo mise anche per iscritto, in un dossier che adesso è confluito in un libro dello scrittore Luigi Simanella, «Salvatore Giuliano morto o...vivo».
Di Maria è morto nel maggio scorso, a 98 anni. E avrebbe rivelato questo segreto tenuto nascosto per 60 anni alle persone che lo accudivano, un mese prima di morire. A loro avrebbe lasciato i documenti che provavano il suo racconto. E questo documento ora è in mano allo scrittore Simanella che è pronto a consegnare tutto ai magistrati che si occupano della nuova inchiesta. «Il documento - afferma Simanella in una nota - rappresenta una vera e propria novità poiché smentisce il fatto che Di Maria si fosse portato nella tomba il segreto di "tutta una vita"». Simanella parla inoltre di «finta morte di Giuliano» e di «presunto omicidio» vista la sua certezza che «a morire al posto di Giuliano fu una giovane vittima la cui unica colpa è stata soltanto quella di somigliare al bandito più famoso di tutti i tempi cioè Salvatore Giuliano». Nel documento, inoltre, sempre secondo Simanella, Di Maria scagiona completamente Giuliano per la responsabilità nella strage di Portella della Ginestra.
Insomma, la storia andrebbe riscritta da cima a fondo. Del resto, se nella vicenda dell'uccisione di Giuliano non ci fossero state palesi incongruenze sin dall'inizio, non si sarebbe arrivati, a distanza di 60 anni, alla riapertura dell'inchiesta e alla riesumazione del cadavere. Proprio dalla riapertura della tomba di Giuliano sono arrivati indizi che sembrano avvalorare la tesi che l'uomo spacciato per il Salvatore Giuliano morto fosse un'altra persona, ma certo non il bandito di Montelepre. A non coincidere in particolare è l'altezza. Dall'autopsia effettuata sulla salma riesumata viene fuori che il cadavere è quello di un uomo alto non più di un metro e 70. Ma i familiari di Giuliano affermano che il loro congiunto era altro più di un metro e 80. La parola fine sarà comunque scritta attraverso l'esame del dna, che sarà comparato con quello del nipote Giuseppe Sciortino, il figlio della sorella del bandito. Proprio Sciortino, recentemente, nel volume «Via d'inferno. Cause ed affetti» ha raccontato un'altra verità sulla vicenda, frutto, come sostiene lui stesso, della «vox populi». .

Nel libro Sciortino racconta che ai giornalisti fu mostrato in realtà il cadavere di un sosia e che il vero Salvatore Giuliano sarebbe stato aiutato a fuggire e sarebbe morto solo qualche anno fa ultraottantenne, dopo essere tornato per due volte nella sua Montelepre. Mistero. Un mistero che forse, dopo 60 anni, potrebbe ora avere i giorni contati.

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