La sentenza della Corte d'Appello civile di Milano ha risvegliato un vecchio fantasma. La questione del Leoncavallo tiene banco in città dal lontano 1994 con lo sgombero degli autonomi da via Leoncavallo, poi l'occupazione di via Salomone, il conseguente sgombero e la «presa» dell'ex cartiera di via Watteau. La condanna in secondo grado per il Viminale è a pagare 3 milioni di euro alla famiglia Cabassi per la mancata restituzione dell'immobile, a fronte di 110 ingiunzioni di sgombero.
Il tema è cosa fare in vista anche della prossimo ingiunzione di sfratto prevista per il 10 dicembre, da parte loro le associazioni e i collettivi dello Spazio Pubblico Autogestito Leoncavallo al grido di «Qua siamo e qua restiamo» ricorda «nel confermare ogni disponibilità al dialogo, che della destinazione pubblica di via Watteau non decidiamo noi né la proprietà privata né il rappresentante del Governo. Come sempre, decide Milano». Il riferimento è alla soluzione che era stata individuata dala giunta Pisapia, con don Gino Rigoldi a fare da mediatore e da «garante» per un progetto sociale da realizzare nell'ex cartiera, passata al Comune in cambio della cessione ai Cabassi dell'ex scuola di via Zama. Quella soluzione, come noto, sfumò per ragioni politiche. Ora sembra difficile che il Comune possa ripercorrere la stessa strada a quelle condizioni: al momento sembra che non ci sia un immobile con le stesse caratteristiche da poter offrire alla proprietà. Così piuttosto complicata sembra l'ipotesi della legalizzazione tramite un canone di affitto che gli autonomi potrebbero versare ai Cabassi, che a quel punto ritirerebbero la causa. Così se in Comune c'è chi vede come percorribile la via del trasloco pacifico dell'associazione Mamme del Leoncavallo in un altro possibile edificio sembra che invece la via più realistica sia lo sgombero del centro sociale che ormai ha molto poco di centro sociale. Così le Mamme sono rimate pochissime, anche gli autonomi sono invecchiati e si sono integrati «nel sistema». Ecco quindi che a fronte del fatto che il Leoncavallo viene «usato» qualche giorno alla settimana per eventi e concerti, e non è più un vero centro sociale con occupanti che vivono all' interno, ora i tempi potrebbero essere maturi per lo sgombero e la restituzione dell'ex cartiera alla famiglia Cabassi che da oltre 30 anni aspetta alla finestra. Interpellata ha scelto di non parlare.
Anche il Viminale deve fare le sue mosse: decidere se pagare o fare ricorso in Cassazione per ribaltare la sentenza. L'ex vicesindaco Riccardo de Corato presenterà un'interpellanza parlamentare per sapere «quali misure intenda adottare per affrontare questa situazione e quale strategia verrà messa in atto affinché si risolva il problema dei Centri Sociali. Il caso apre la strada ad altri 10 proprietari di stabili occupati che potrebbero seguire l'esempio, avviando ricorsi con richieste di risarcimento».
Così il capogruppo di FdI Riccardo Truppo in Consiglio chiede conto al sindaco della sua responsabilità politica: «Quante volte ha posto la priorità dello
sgombero dei Centri Sociali, in particolare del Leoncavallo, sui tavoli dei vari Comitati Provinciali per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica ai quali hai partecipato? La sua responsabilità diretta sulla questione sta tutta lì».
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