L'ordine di arresto domiciliare è stato ricevuto. Le motivazioni della Cassazione sono state depositate. Il direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, ha rinunciato formalmente ai servizi sociali ed è pronto ad accettare la decisione della procura. Condannato a causa di una legge sulla diffamazione a mezzo stampa che la politica non ha mai voluto cambiare (e che tuttora, in un gioco di rimpalli e di inserimenti di codicilli nascosti, è ancora al palo in Parlamento).
È bene fare chiarezza e riassumere la contorta vicenda.
Il 18 febbraio 2007 sul quotidiano Libero vengono pubblicati un articolo, firmato da Andrea Monticone, e un commento, firmato con lo pseudonimo Dreyfus (dietro al quale si cela il nome di Renato Farina, come lui stesso ha confessato in Parlamento solo dopo la condanna definitiva di Sallusti) che parlano della vicenda - pubblicata il giorno prima da La Stampa - di una tredicenne, rimasta incinta e autorizzata ad abortire dal tribunale di Torino e finita in una clinica psichiatrica per le conseguenze della vicenda.
Nel corsivo di Dreyfus, l'autore scriveva che "se ci fosse la pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice". Tra questi ultimi tre, a offendersi e a sentirsi diffamato è il terzo. Trattasi del giudice Giuseppe Cocilovo, il quale non viene però citato nel testo dell'articolo ( e nemmeno nell'articolo de La Stampa).
La toga sporge querela. Nessuna indagine per risalire al vero autore dello scritto viene fatta, così come nessuna rettifica viene pubblicata. Dal momento che il commentatore non è riconoscibile, la responsabilità ricade sul direttore di Libero (all'epoca Alessandro Sallusti appunto).
La querela arriva in tribunale. Il 26 gennaio 2009, il tribunale di Milano condanna in primo grado Monticone e Sallusti rispettivamente a 5mila e 4mila euro di ammenda. Sallusti viene condannato per omesso controllo, ma anche per diffamazione (reato previsto dagli art. 595 cod. pen. e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, la quale prevede la pena della reclusione da uno a sei anni, oltre alla multa). Nelle motivazioni della sentenza, il giudice si duole di essersi dimenticato di prevedere una pena detentiva.
Il giudice Cocilovo e la procura ricorrono in appello. E la sentenza della prima sezione giunge il 17 giugno 2011. In aula però, l'avvocato di Libero (avvezzo a non presenziare quasi mai alle udienze) e il suo sostituto non si presentano in aula.
Così, succede che in Appello presenzia un legale d'ufficio chiamato all'ultimo istante. La sentenza d'Appello cambia radicalmente rispetto a quella di primo grado: un anno di carcere con la condizionale per Monticone, un anno e due mesi senza condizionale per Sallusti.
Il motivo della mancata concessione della condizionale per Sallusti è dovuto ai precedenti per l'omesso controllo legato alla diffamazione (precedenti che riguardano condanne soggette a indulto o tramutate in pena pecuniaria). Insomma, il giudice di Appello ripara al rammarico del collega di primo grado sulla pena detentiva. Nella sentenza si spiega che la condizionale viene negata “ai sensi dell’articolo 133 del codice penale”, e cioè a causa della sua “pericolosità” e del rischio che, se in libertà, possa commettere altri temibili reati. “Per Sallusti non è possibile formulare una prognosi favorevole e ritenere che egli si asterrà dal commettere in futuro ulteriori episodi criminosi avuto riguardo alle numerose condanne da lui già riportate per reati della stessa specie”, si legge nella sentenza. Una motivazione risibile visto che i direttori di giornali di condanne per omesso controllo, reato colposo, ne hanno parecchie. Da qui la condanna non sospesa.
Si arriva poi al giorno della sentenza della Cassazione. I giudici della quinta sezione penale confermano la condanna a 14 mesi. La Corte, presieduta da Aldo Grassi, dopo una camera di consiglio di circa due ore e mezzo, respinge il ricorso presentato dalla difesa di Sallusti. E non tiene in considerazione nemmeno le attenuanti generiche richieste dal Procuratore generale della Cassazione (quindi l'accusa) Gioacchino Izzo che avrebbero potuto portare a una riduzione della pena. Sallusti viene anche condannato alla rifusione delle spese processuali, a risarcire la parte civile e a pagare 4.500 euro di spese per il giudizio.
Secondo la Suprema Corte, la notizia pubblicata da Libero “era falsa”, dal momento che "la giovane non era stata affatto costretta ad abortire, risalendo ciò a una sua autonoma decisione, e l'intervento del giudice si era reso necessario solo perché, presente il consenso della mamma, mancava il consenso del padre della ragazza, la quale non aveva buoni rapporti con il genitore e non aveva inteso comunicare a quest'ultimo la decisione presa".
Nelle motivazioni della sentenza di Cassazione, depositate in tribunale il 23 ottobre 2012, si legge inoltre che la misura del carcere è “eccezionale, ma legittima” e scaturisce dalla “spiccata capacità a delinquere” del condannato a seguito della “gogna mediatica e della campagna diffamatoria” effettuata nei confronti del giudice Cocilovo.
Il 19 ottobre
2012 Sallusti riceve l'ordine di carcerazione. Oggi 26 novembre, dopo che il giornalista ha rifiutato l'affidamento ai servizi domiciliari e altre misure alternative, la procura ha notificato l'ordine di arresto domiciliare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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