Quattro chiacchiere tra colleghi: si può parlare di sport, vacanze e figli, ci si può anche lamentare, sommessamente, del capo. Ma attenzione, niente pettegolezzi scabrosi. Lo stabilisce la Cassazione, che sancisce che le relazioni amorose in ufficio devono rimanere rigorosamente segrete e non possono essere oggetto di pettegolezzo. Sul tema, si legge nella sentenza, c'è «parecchia ipocrisia»: e comunque diffondere notizie sulle eventuali tresche nel posto di lavoro infrange la riservatezza dei diretti interessati.
In questo modo, la quinta sezione penale ha convalidato una condanna per violazione della privacy e per diffamazione nei confronti di C. R., un 62enne cliente di una filiale di una banca di Torino che, dopo aver ripetutamente corteggiato senza successo una dipendente dell'istituto di credito, D. R., aveva assoldato una 007 della Holmes Investigazioni, C.C., per spiare tutti i movimenti dell'amata. Dopo aver raccolto i dati, C.R. aveva cominciato a spargere la voce, con tanto di lettera al direttore della filiale, che la dipendente della banca avesse una relazione con un collega sposato. La chiacchiera era arrivata infine anche alla consorte di lui, che aveva minacciato ritorsioni. La vicenda ovviamente è finita in un'aula di giustizia.
L'agente privata era stata condannata in appello nel maggio del 2010 ad un anno di reclusione (pena sospesa) per violazione della privacy «per avere trattato dati non pertinenti ed eccedenti le finalità dell'incarico». Per il cliente della banca era scattato invece il reato di diffamazione: un anno e 2 mesi con la condizionale. Entrambi erano stati condannati a sborsare alla dipendente della banca una provvisionale di 10 mila euro per i danni arrecati.
Inutile il ricorso in Cassazione. La Suprema ha evidenziato che «non vi è dubbio che la diffusione, all'interno del ristretto ambito lavorativo della notizia della esistenza di una relazione, sentimentale e sessuale, clandestina tra due impiegati può avere natura diffamatoria, specie se uno dei due è sposato». É pur vero che «la condotta adulterina fu, nel caso di specie, addebitata non all'impiegata ma al suo amante (l'unico che fosse coniugato), ma è altrettanto vero che la riprovazione sociale colpisce, solitamente, in casi del genere, entrambi i partner». D'altronde, «anche in assenza di valutazioni morali da parte di terzi, fatti del genere sono oggetto di malevolo pettegolezzo».
E il «diritto di critica», sollevato dall'avvocato di C.R. , non c'entra nulla. «Che la donna avesse o no una relazione con un collega, che portasse minigonne vistose, non si vede in che maniera potesse riguardare il suo rendimento» in ufficio.
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