Roma - Rientra nel reato di ingiuria l’espressione "mi fai schifo" e, per questo, la persona offesa può chiedere il risarcimento danni. Lo ha sancito la Cassazione, annullando con rinvio una sentenza del tribunale di Monza (sezione distaccata di Desio): i giudici del merito avevano assolto l’imputato, con la formula «perché il fatto non sussiste», ritenendo che l’espressione in oggetto fosse una «mera opinione»; diversamente se la frase proferita fosse stata "fai schifo", secondo il Tribunale, questa avrebbe avuto valenza ingiuriosa.
Di tutt’altro avviso la Suprema Corte (quinta sezione penale, sentenza n.31451) che ha accolto il ricorso della parte civile e rinviato il caso al giudice civile competente: «è affetto da patente illogicità - scrivono gli ermellini - l’assunto che esclude, in concreto, la valenza offensiva dell’espressione 'mi fai schifo' sul rilievo che la particella pronominale 'mi', in luogo della mera espressione 'fai schifo', manifesterebbe l’espressione di un’opinione soggettiva anzichè il dato oggettivo od obiettivizzante proprio dell’altra locuzione».
Secondo i giudici di piazza Cavour, infatti, «l’incongruenza logica è palese in quanto ogni espressione ingiuriosa reca, in sè, un riflesso congetturale, esprimendo l’opinione o la valutazione di disprezzo di chi la proferisce»: d’altro canto, osserva la Cassazione, «ove fosse plausibile l’ordine di idee sostenuto
dal giudice di merito, sarebbe sufficiente anteporre a qualsiasi espressione ingiuriosa, anche la più graffiante o spregevole, la particella pronominale 'mi' per rendere la condotta illecita esente da sanzione penale».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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