Castrogiovanni: "Vi racconto la mia lotta con gli All Blacks"

Alla vigilia di Italia-Samoa, ultimo test match della Nazionale di rugby, il pilone azzurro fa il bilancio. «Nessuno ci regala mai niente. E a noi sta bene così».

Castrogiovanni: "Vi racconto 
la mia lotta con gli All Blacks"

É stato l'eroe della partita con gli All Blacks, il pilone che per la prima volta nella storia del rugby azzurro ha piegato e costretto quasi alla resa il pilone della Nuova Zelanda. Martin Castrogiovanni, nominato all'unanimità man of the match a San Siro, si prepara all'ultimo, cruciale appuntamento del ciclo autunnale di test match della Nazionale italiana: domani pomeriggio, a Ascoli Piceno, contro le Samoa Occidentali. Un piccolo paese di grande tradizione, e che sta giusto un passo davanti all'Italia nella classifica del rugby mondiale: loro undicesimi, noi dodicesimi.
Martin, la partita di San Siro è stata seguita da una serie inconsueta di polemiche. Tutti hanno visto che tu sovrastavi il pilone, e che loro rimediavano facendo crollare la mischia. Due giorni dopo, Paddy O'Brien, cioè il capo degli arbtiri mondiali, ha detto invece che eri tu a commettere falli su falli. Risolviamo la faccenda: chi era a fare il furbo?
«È difficile dire dire chi entrava storto e chi dritto... Forse una volta io, una volta lui... Però penso che le dichiarazioni di O'Brien non siano belle, perchè ci fanno sentire come se i falli li avessimo fatti solo noi. Che dire? La realtà e che noi siamo l'Italia e loro sono gli All Blacks e questo qualcosa significa. La realtà e questa, noi la accettiamo e sappiamo che dobbiamo faticare il doppio degli altri perchè nessuno ci regala niente. Loro hanno vinto e noi abbiano perso, non si discute, ma in mischia siamo stati più forti, e lo hanno visto tutti. Andiamo avanti così, la prossima volta che incontreremo gli All Blacks faremo uguale o meglio. Così non ci saranno margini di discussione».
Come hai fatto a fare così nero il tuo avversario diretto?
«Non credo che dobbiamo parlare solo della mia prestazione ma di quella di tutta la mischia italiana durante le fasi di mischia ordinata. La realtà è che ormai il rugby mondiale è un po' diviso, nell'emisfero nord si gioca in un modo e nell'emisfero sud in un altro. Loro sono molto più forti di noi nella velocità, nelle ruck, eccetera, e per questo noi dobbiamo migliorare. Ma in mischia chiusa siamo più forti di noi, è un nostro punto di forza e non intendiamo rinunciarci, perchè in questo modo forniremo sempre palloni veloci e puliti ai nostri compagni dietro».
Ultima parte della partita di San Siro: un quarto d'ora a un passo dalla meta, mischie a ripetizione, non si andava nè avanti nè indietro, la gente guardava e non capiva. Cosa succedeva lì dentro?
«É difficile spiegare alla gente cosa succede in quelle situazione anche perché noi stessi là in mezzo non è che capiamo bene, c'è un grandissimo casino. A volte persino dopo la partita, davanti alla ripresa televisiva non riusciamo a ricostruire bene cos'è successo. Certamente il nostro obiettivo era arrivare alla meta tecnica (la meta di punizione che l'arbitro assegna in caso di falli ostruzionistici e ripetuti, ndr), l arbitro non ce l'ha data, noi rispettiamo la sua decisione. Ma tutta la gente di San Siro ha visto che noi per un quarto d'ora abbiamo messo un grandissimo coraggio e una grandissima grinta per arrivare in meta, e credo che questa sia stato emozionante per la gente come lo è stato per noi. Cedo che la gente abbia capito che a volte sbagliamo ma il cuore non ci manca e lo abbiano dimostrato in quei quindici minuti. Per il resto, nel nostro sport quel che dice l'arbitro è giusto, e l unica risposta che noi possiamo dare è cercare di fare ancora meglio la prossima volta».
Sabato scorso, col Sudafrica avete faticato di più. Come è andata col Sudafrica lì davanti?
«Secondo me col Sudafrica per 60 minuti abbiamo retto molto bene, davanti abbiamo fatto una bella partita, abbiamo conquistato tanti palloni puliti, calci a favore, siamo avanzati. Il problema è che ormai tutti sanno qual è il nostro punto di forza e prendono le contromisure. Per questo dobbiamo migliorare ancora di più».
Sabato finisce questo ciclo di test match. Ed è la prima partita che sulla carta si può vincere.
«Piano. Le Samoa sulla carta sono meno forti di Nuova Zelanda e Sudafrica, però anche contro di loro non abbiano mai vinto, e quindi non dobbiamo dare niente per scontato. Oltretutto vengono da una sconfitta molto pesante e avranno sicuramente voglia di fare bene. Io dico che se non facciamo sbagli e giochiamo come nelle ultime due partite possiamo vincere. Però per vincere dobbiamo volerlo per ottanta minuti».
Mancano poco meno di due anni ai Mondiali, pensi che questo è il gruppo che Mallet pensa di portare in Nuova Zelanda nel 2011?
«Io non mi permetto di parlare del lavoro di Nick, credo però che questo è un gruppo molto bello, un bel mix tra gente che ormai ha esperienza, e che avrà 30 anni o giù di lì in Nuova Zelanda, e un gruppo fortissimo di ragazzi giovani. Abbiamo ancora davanti due anni per amalgamare questo gruppo, il tempo non ci manca».
Tu nel 2011 sei uno di quelli che avraanno 30 anni, potrebbe essere il tuo ultimo mondiale...
«Beh, questo significa nel 2015 ne avrò 34, sarebbe il mio quarto mondiale e mi piacerebbe arrivarci, nel mio ruolo oggi c'è gente che gioca ad alto livello anche a 35 o 36 anni. Vediamo come andranno il fisico, la testa, la voglia».
Sergio Parisse si è rotto i legamenti del ginocchio e starà fuori quattro o sei mesi.

Quanto vi mancherà?
«Parisse è un grande giocatore, un grande capitano e un grande amico. Ci mancherà tantissimo, ma questo è il rugby e non possiamo farci niente. Chi prenderà il suo posto giocherà al massimo. E cercheremo di vincere anche per lui che è la nostra bandiera».

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