Un buon libro non manca mai di far riflettere, ma può pure far sorridere. Il gran bugiardo (La nave di Teseo, pagg 206, euro 19) di Ermanno Cavazzoni rientra in entrambe le categorie.
La dimestichezza con le bugie del protagonista è disarmante. Le dice per fare breccia nel cuore di ragazze che, altrimenti, sarebbero fuori dalla sua portata. Talvolta non si rende nemmeno conto di essere sul punto di raccontare una plateale frottola, anche perché le intenzioni sono buone e le bugie quasi innocenti. Ne racconta una e, senza nemmeno accorgersene, gliene affianca subito un'altra per corroborare la prima e sostanziarla debitamente. E, com'è ovvio che sia, alla seconda se ne aggiunge una terza che poi necessita di un corollario che la renda credibile e il castello di finzioni cresce. È così che Nicola si trova impegolato con due donne incontrate in giro per la città. A entrambe ha ammannito una panzana enorme: è un famoso direttore d'orchestra, dice a una, ed è un noto scrittore, dice all'altra. È pure un luminare della medicina, racconta a due vecchie che lo ospitano.
La figura del «bugiardo patologico» è un archetipo letterario, come quella dell'avaro e del dongiovanni. «Attorno a me - dice Cavazzoni - nel corso del tempo ho potuto osservare tanti bugiardi. Quelli che si costruiscono, ad esempio, un passato glorioso e finiscono per crederci. Quelli che nominano persone importanti come se le conoscessero benissimo, anzi come se fossero molto amici. Addirittura, ex-partigiani che, magari, sono stati partigiani per un giorno, ma che ci hanno costruito sopra una carriera. Quelli che hanno messo il proprio nome sul libro di un altro. All'università ce ne sono. E via discorrendo. Ma tutti, chi più chi meno, si costruiscono una biografia immaginaria, con una gioventù piena di avventure e di amori. Chi dice una bugia occasionale per nascondere qualcosa non è molto interessante. È interessante chi scivola in una balla lieve, per darsi un po' d'importanza, e poi deve continuare a sostenerla e la balla cresce, si gonfia, fino a diventare qualcosa di enorme sempre sul punto di scoppiare, che grava minacciosamente e dà angoscia, senza che si possa tornare indietro. Questi sono bugiardi eroici, spaventosi e ammirevoli: subiscono le loro stesse enormi bugie, che crescono come un'identità alternativa a cui non c'è rimedio».
Abbiamo sempre pensato che un romanzo debba anche contenere un elemento di svago e, di certo, Il grande bugiardo è divertentissimo. «Credo che ogni grande opera contenga sempre elementi di leggera comicità o di autoironia, che non è svago, ma un elemento importante di autoconsapevolezza e di aggancio con il lettore. Le cose seriose spesso sono anche banali e stupide», dice l'autore.
Se volete farvi sorprendere a ridere di gusto durante la lettura, le pagine non mancano. Per esempio, la descrizione della disavventura del protagonista alle prove dell'orchestra. Tutto sommato, una scena plausibile. È lì che fantasia e realtà si incontrano per Cavazzoni. «Ho conosciuto effettivamente uno che per conquistare le ragazze si spacciava per direttore d'orchestra. Mi sarebbe piaciuto metterle di fronte a un'orchestra. Ma al fondo di ogni arte c'è un elemento di menzogna. Penso sempre di essere anch'io un impostore che si spaccia per scrittore...».
C'è un'aura classica in questo romanzo. Ed è un bene. «La letteratura è piena di bugiardi: Le anime morte di Gogol, storia di un imbroglio; Il fu Mattia Pascal di Pirandello, uno che si fa credere morto.
La Divina Commedia, un finto viaggio di Dante nell'aldilà; il Decameron, pieno di casi di bugiardi e truffatori; il Don Chisciotte, uno che si crede un altro. E altrettanto nel cinema, con la commedia all'italiana. L'opera lirica, la tradizione buffa italiana, è piena di bugiardi».
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