La Cgil fa paura: ecco perché il premier frena sul lavoro

Monti esclude la riforma per decreto, ma il Pdl si irrita. La Fornero rallenta sulla cassa integrazione

La Cgil fa paura: ecco perché il premier  frena sul lavoro

Roma - Difende la sua “lenzuolata” di liberalizzazioni («Roba vera», che potrebbe dare una buona scossa al Pil); promette «tempi abbastanza spediti» anche sulla riforma del lavoro (sia pur «nel rispetto delle esigenze di contrattazione» con le parti sociali); auspica che «crescita e occupazione» diventino una «priorità» per tutta la Ue ma chiede alle categorie che accendono fuochi di rivolta in giro per la penisola di contribuire allo sforzo comune: «Se ci mettiamo insieme, i sacrifici saranno minori e i risultati si vedranno prima».
Mario Monti ha affrontato i giornalisti ieri a Bruxelles, al termine dell’Ecofin e prima di riprendere l’aereo per Roma, dove ieri sera si è fatto aggiornare dal ministro del Lavoro Elsa Fornero sulle trattative coi sindacati e oggi sarà a Montecitorio per la discussione delle mozioni sulla politica europea. Sui provvedimenti portati finora a casa e sulla «buona strada» imboccata dall’Italia incassa riconoscimenti dai colleghi ministri dell’economia Ue (alcuni dei quali, racconta, «non avevano ancora ben colto il fatto che vi sono cose già in vigore», come la riforma delle pensioni)e dal Fondo monetario internazionale, che pur in un quadro complessivo grave per il nostro paese e drammatico per tutta l’Europa sottolinea che le riforme del governo Monti vanno «nella giusta direzione». Persino la perfida Standard & Poor’s, che ha appena declassato il Belpaese, ieri ha fatto sapere di guardare «positivamente» alla «maggiore incisività» impressa dal nuovo esecutivo alle riforme strutturali necessarie. Ma il premier sa bene che le partite rimaste aperte in patria sono ancora ad alto rischio: c’è l’emergenza Tir (che ieri ha fatto anche un morto) da fermare, e soprattutto la partita del lavoro ancora tutta da dipanare.
Ieri Monti ha ammesso che su questo fronte i tempi saranno «più lunghi di quelli a marcia forzata che hanno caratterizzato la riforma delle pensioni», ma anche «più brevi» delle estenuanti trattative coi sindacati del passato. Niente decreti, insomma, e questo già attira sul governo le reprimende del centrodestra, col segretario Pdl Alfano che lamenta: «Perché sulle liberalizzazioni si procede per decreto e sul lavoro con tempi da lumaca?». Nel merito, Monti si tiene sul vago: «I temi sui quali insisterò», spiega, «sono quelli di una minore segmentazione del mercato del lavoro e di una maggiore attenzione ai giovani». Formule sufficientemente generiche da lasciar spazio di manovra al negoziato condotto a Roma dal suo ministro. I punti da affrontare, assicura Monti, restano «quelli comunicati dal ministro del Lavoro e noti alla stampa».
A Roma, però, Elsa Fornero frena sulle notizie trapelate lunedì dalla prima riunione del tavolo sulla riforma del lavoro: «È stato detto che voglio eliminare la cassa integrazione straordinaria, ma non è scritto nel documento», spiega, e comunque «vedremo, ne parleremo con i sindacati». I quali sindacati, Cgil in testa, hanno già fatto sapere che per loro si tratta di «follia», spalleggiati da Bersani che avverte che prima di parlare di cassa integrazione bisogna ricordarsi che è in corso «una crisi conclamata, che non sarà breve». Strada in salita, insomma.
Quanto alla rivolta dei Tir e alle serrate minacciate dai settori toccati dalle liberalizzazioni, Monti si appella al «rispetto della legalità». Le esigenze delle categorie vanno «comprese», certo, ma «facendo rispettare le leggi». Il governo mette in conto che le sue riforme creino «opposizioni, preoccupazioni e a volte ansie», ed è aperto a qualche ritocco, ma «quel che ha frenato finora la crescita italiana è stata una gerarchia di valori, spesso anche nel mondo politico, in cui il legittimo interesse di una categoria viene prima dell’interesse generale». D’ora in poi non potrà più essere così: «Le riforme che stiamo realizzando richiedono un contributo importante dai settori e dalle professioni interessate. Ma in questo momento tutti gli italiani stanno facendo degli sforzi, e se ci mettiamo insieme i sacrifici saranno minori, e più equamente distribuiti, e i risultati si potranno vedere prima».

Risultati che, assicura il premier citando uno studio di Bankitalia, potrebbero essere sostanziosi: se grazie alle liberalizzazioni il margine dei profitti dei servizi in Italia rientrasse nella media Ue, «il Pil nel lungo periodo aumenterebbe dell’11%». Basterà a convincere i “forconi”?

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