Si sente dire che il centrosinistra, giunto al potere, non si sia fatto scrupolo di occupare tutte le posizioni-chiave; ci si accorge oggi che si è impossessato anche del Festival di Sanremo, confermando il suo appetito, anzi la sua insaziabile voracità. Si è affrettato a dare il benvenuto, sulla soglia dell’Ariston, Pippo Baudo maggiordomo per tutte le stagioni coerente solo col conformismo secondo il vento che soffia al momento. Ce ne ha dato conferma ieri l’autorevole Corriere della Sera nell’annunciare, con titoli di scatola, che «La sinistra si è innamorata di Sanremo» e ha elogiato Baudo per il suo outing, come si dice oggi, a favore del centrosinistra senza che nessuno glielo avesse domandato. Sono accorsi festanti ad applaudirlo tra gli altri il Manifesto e l’ultimo riservista dell’Armata Rossa, Sandro Curzi, e che a lunga memoria ricorda per i suoi manifesti di patriottismo alla rovescia lanciati da Radio Praga.
La rivoluzione culturale apportata da Baudo al Festival di Sanremo consiste nell’aver sostituito le canzoni dell’amor che rima con cor con quelle impegnate nel sociale. Si è scritto che finalmente la «politica autentica» è entrata nel mondo della melodia e dell’armonia popolari. Veramente si aveva la sensazione che non ci fosse grande attesa né pressante richiesta per questo grande evento, anche perché l’ex democristiano Baudo, cattolico cresciuto fino a diventare adulto e in diritto perciò di bacchettare il Papa, non si è accorto che il genere oggi proposto non è meno retorico del sentimentalismo di ieri. A difesa poi della sua onnipotenza e infastidito delle critiche circa le alte paghe proletarie profuse dalla Rai, si è detto pronto a restituire la propria. Il fiero proposito è rimasto tuttavia allo stato di minaccia non eseguita, evidentemente nella convinzione che basta la mossa. A parte i pettegolezzi un po’ da cortile che fioriscono sempre intorno ai festival, una seria considerazione ci spinge a constatare che la tendenziosità è entrata ormai in tutti gli argomenti della nostra vita; sempre più angusta è la possibilità di trattare serenamente i problemi in sé senza passare attraverso il filtro della partigianeria. Baudo, diventato un intellettuale di rispetto per i suoi plauditores di oggi, si vanta di essere tornato a privilegiare la canzone italiana; ma non si accorge di averla al tempo stesso condizionata, di averla uniformata a un tema pressoché unico. La canzone italiana era fino a ieri una occasione di spensieratezza o di dolore. Ad esprimere le proprie convinzioni ideologiche provvedevano gli inni e le marce. La canzone popolare cantava e canta l’amore ma anche il sole, il mare, la nostalgia, la speranza, la gioia e il disagio di stare al mondo; accompagnava il ballo, un tempo di coppia, oggi sempre più prigioniero di una spirale di solitudine disperata. Tutto questo per dire che la canzone esprimeva ed esprime un moto dell’animo e non un concetto programmato a cui sono riservate altre manifestazioni. In questo senso il Festival di Sanremo ha perso la virtù spontanea di esprimere quelli che siamo per dichiarare quelli che vorremmo essere, perdendo quell’inconsapevolezza che è propria dell’arte anche popolare.
Per favore, lasciateci cantare in pace, senza pregiudizi e pensieri molesti, come detta «dentro» con sentimento o con rabbia secondo quanto è consentito persino agli uccelli in gabbia. Poiché non entriamo nel merito qualitativo delle canzoni in gara - alcune, pare eccellenti - speriamo che la selezione naturale faccia giustizia di ogni tendenziosità. Canta che ti passa, dice un vecchio adagio.
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