È davvero così. La scrittura non è il calcio, dove si impara a calciare le punizioni calciando le punizioni, e ci si allena tirando mille calci piazzati per migliorare la propria capacità di tirare le punizioni. No, la scrittura non si impara scrivendo, ma leggendo: più scrivo, più continuerò a scrivere nello stesso modo, senza migliorare; più leggo, e meglio leggo, e più cose diverse leggo, più - in teoria - crescerò nella scrittura. È la regola.
Poi, come sempre, al di sopra delle regole c'è il talento, così come nel calcio al di sopra dei campioni ci sono i fuoriclasse. Ecco, un esempio straordinario di eccezione-fuoriclasse della scrittura è Francis Scott Fitzgerald, forse il più grande scrittore americano del Novecento, forse il più grande di tutti.
Volete una prova? È il diario che il piccolo Scott scrisse fra l'estate del 1910, quando aveva meno di quattordici anni, e il febbraio dell'11, a St. Paul, Minnesota, dove abitava coi genitori. Un pugno di pagine in cui racconta delle sue ragazze, le infatuazioni di adolescente, dei suoi amici, di piccole invidie e ripicche, di scherzi, delle prime cotte. Cose universali, che chiunque di noi ha vissuto, ma che pochi sanno narrare in quel modo. Leggetele. L'originale manoscritto del diario è conservato nella «Irvin R. Hollings Special Collections Library», a Columbia, Università del South Carolina. Alcuni estratti furono pubblicati nella rivista Life nel 1959. Integralmente il diario uscì in volume negli Stati Uniti nel 2013. E oggi per la prima volta arriva la traduzione italiana, a cura di Fabrizio Bagatti, in una nuova casa editrice fondata dalla UNINT, l'Università degli Studi Internazionali di Roma, il cui comitato editoriale è coordinato da Simonetta Bartolini: Francis Scott Fitzgerald, Tutte le mie ragazze, sottotitolo «Il diario giovanile e altri inediti» (UNINT, pagg. 96, euro 12; prefazione Massimo Vizzaccaro).
Attenzione: oltre al diario, qui troviamo due racconti dell'autore ancora adolescente (Il mistero dell'ipoteca Raymond, uscito sulla rivista St. Paul Academy Now and Then nell'ottobre 1909, il suo primo dato alle stampe; e Sulle tracce del Duca, apparso su Newman News Magazine nel giugno del '13), oltre a un profilo autobiografico redatto nel 1921, anch'esso mai tradotto prima in italiano, e di cui non si possono non riportare almeno le prime tre righe: «La storia della mia vita è la storia della lotta tra un'irrefrenabile voglia di scrivere e una serie di circostanze che me lo volevano impedire».
Per il resto, saranno i critici a spiegarci tecnicamente le innate qualità di Fitzgerald nell'organizzazione del testo, nell'uso del discorso diretto, nel ricorso agli elenchi, nell'originalità delle descrizioni eccetera eccetera. Da lettori, senza saperlo spiegare, capiamo però che qui c'è qualcosa di diverso. Uno scarto fra i campioni, e ce ne sono tanti, e il fuoriclasse. Forse esageriamo un po', ma l'ultima pagina del romanzo Il grande Gatsby (1925), a giudizio di molti una delle cose più alte mai scritte in lingua inglese, poteva uscire soltanto dalla macchina per scrivere di un uomo che a tredici anni, per il racconto Sulle tracce del Duca, era capace di pensare un incipit del genere: «Era una calda notte di luglio. All'interno, gli insetti sgusciavano attraverso la zanzariera, la finestra e la porta, e si radunavano intorno alle luci come tanti esseri umani in un luna park, ronzando, ronzando, ronzando. Dall'esterno della notte, nelle case, arrivava l'opprimente e snervante caldo afoso di fine estate, che irrompeva contro i muri e avvolgeva tutta l'umanità come un'enorme coperta soffocante».
Ah. A proposito delle età della vita.
Citazione dal romanzo Di qua dal Paradiso, 1920: «A quindici anni hai avuto lo splendore del primo mattino, a venti comincerai ad avere la malinconica luminosità della luna, quando avrai la mia età irradierai, come me, il geniale calore dorato delle quattro del pomeriggio».Ecco. Il diario del piccolo Francis Scott Fitzgerald ha lo splendore del primo mattino.
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