Che peccato l’Antigone piatto e di maniera

da Firenze

Che sapete su Antigone? Seppellì il fratello, contro la legge, e sostenne che la pietà umana e la legge degli Dei eran più forti. Sofocle insegna. Se andate a Firenze a seguire Antigone di Ivan Fedele su libretto di Giuliano Corti, prima rappresentazione assoluta, inaugurazione del Maggio Musicale 2007, direttore Michel Tabachnik, regìa Mario Martone, maestro del coro Piero Monti, direttore dell'allestimento Massimo Teoldi, con Monica Bacelli come Antigone, Chiara Taigi come Ismene, Roberto Abbondanza come Creonte, Bruno Lazzaretti come una guardia, Mirko Guadagnini come Emone e Martin Oro come Tirseia, orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino, malgrado lo sforzo commovente di tutta questa gente, dopo 75 minuti di parole, canto a pelo di declamazione, grida e tortuosi intervalli ogni tanto azzardati, solennità ieratica e botti di percussioni, non ne saprete di più.
È la prima opera di uno che scrive musica da maestro inconfutabile, ma di gavetta teatrale non ne ha fatta. Scopre il teatro e ne è contento. Solo che l'hanno già scoperto altri, sia quello che funzionava per forza drammaturgica diretta, fosse Orfeo o Rigoletto, sia quello che dilania voci e orecchi ed ha bisogno per esprimersi di masse corali, dove la musica mima la parola ma non la trasfigura e a cui la nuova opera somiglia, e noi la rispettiamo ma continuiamo ad aspettare non si dice la forza dei capolavori ma una cosa di cui non debbano convincerci con sillogismi che è bella e importante, ma ci convinca, ci prenda per conto suo. Il libretto esprime nobili concetti ma è piatto, un bignamino di Sofocle. La musica da leggere in partitura probabilmente è magistrale, ma non basta essere bravi per intervenire sul mito antico in teatro. C'è una gradinata di sapore da teatro greco, coperta però da un enorme gerla o piramide fatta di rami che ci fan venire in mente prigionie, boschi o navi, e grandi sprazzi di luce accendono all'interno i luoghi scenici: spettacolo con una sua bellezza originale ed una sua autorità. I cantanti sono immersi nel loro personaggio, doverosamente, e si vede che hanno studiato bene. In rilievo Monica Bacelli, che si prende qualche libertà con infiorettature in stile neogotico o protoberiano, e che ha un bel carisma; ma anche Chiara Taigi, prestigiosa. C'è un mimo immobile che viene festeggiato quando prende gli applausi perché lo credevamo una statua, e un pubblico che applaude con nessuna intenzione di rovinare la cerimonia.
Il Teatro di Firenze ha tenuto ferme e pagate le masse per molte settimane, per non spendere, nel gorgo dei debiti, i soldi delle produzioni nuove. Penso agli allestimenti che sono già in casa, ai cantanti senza lavoro che accetterebbero volentieri compensi limitati, alla fame di opera di repertorio che garantirebbe di riempire i posti perdendo meno che non facendo nulla.

E agli autori giovani che per poco denaro e in allestimenti poveri ci si butterebbero se venisse data loro occasione di esprimersi col loro linguaggio, non quello degli abbonati, e da cui chissà potrebbe venire il vero autore geniale. Senza la cerimonia, direttamente con la vita.

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