Negli anni '50 del '900 Yves Klein realizzò il celebre francobollo blu, che all'epoca circolò causando non pochi problemi burocratici. Poi negli anni '60 la New York Correspondence School di Ray Johnson istituzionalizzò lo scambio di opere tramite il mezzo postale ed è lì che gli studiosi datano la nascita ufficiale della mail art, poi esplosa nel decennio successivo. Anche se...
Ecco, c'è un «se».
Se si vuole essere precisi, persino prima di certi collage dadaisti di Marcel Duchamp e Kurt Schwitters, furono i futuristi - tra fantasia, intuizione delle nuove potenzialità di un vecchio medium e originalità d'esecuzione a inventare la «post-art». Sempre loro, verrebbe da dire.
La prova? È la ricerca trentennale che Maurizio Scudiero, storico delle avanguardie e fra i massimi esperti di Futurismo, ha condotto su quella che per lungo tempo si è chiamata corrispondenza creativa, la realizzazione cioè di piccole opere in formato postale, cartoline perlopiù, da inviare ad altre persone, di solito appartenenti al mondo culturale; e il cui risultato, dopo un primo studio parziale uscito negli anni Ottanta, è ora il maestoso volume Arte Postale Futurista (Luni editrice), il lavoro più completo e importante al mondo in materia: 304 pagine, 820 immagini e un minuzioso inventario ragionato di tutte le cartoline d'artista di Depero&Co. Se c'è un'opera d'arte in formato postale dei futuristi, o è qua dentro o non esiste. Almeno per ora.
Scudiero, che assieme alla coppia Claudia Salaris e Pablo Echaurren, ma anche a Giampiero Mughini, è stato fra i primi studiosi e collezionisti di arte futurista, è un cacciatore straordinario. Ha setacciato archivi, inseguito piste sul web, tallonato collezionisti privati, librai antiquari, gli artisti stessi quelli ancora vivi, negli anni '70 e '80... - e poi i loro eredi: le figlie di Marinetti e di Balla, Bruno Munari, i Depero, i Baldessari, i Prampolini, i Dottori... Ogni segnalazione è stata un'avventura, ogni falsa traccia un cruccio, ogni ritrovamento un piccolo trionfo personale. E il risultato, eccolo qui: fra arte, grafica pubblicitaria e innovazioni tipografiche, tutta la creatività in formato cartoncino rettangolare dell'era futurista, dalla «A» di Amen, al secolo Antonio Menegazzo (1892-1974), futurista padovano di terza generazione, del quale si conoscono dieci cartoline, scalate fra il 1929 e il 1935, alla «V» di Verossì (così lo ribattezzò Marinetti), all'anagrafe Albino Siviero (1904-1945), veronese, cartellonista e pittore, cartofilo di vasta produzione.
Una premessa, però. L'arte postale è probabilmente l'unico caso, nella storia del Futurismo, in cui la realizzazione delle opere non sia stata preceduta da un manifesto programmatico, come in tutti gli altri campi (pittura, scultura, musica...) in cui Marinetti e compagni declamavano oggi in forma teorica quello che avrebbero fatto domani. Poi, bisogna distinguere. La pratica postale, nata come scambio di saluti e opinioni tra futuristi - quando fare a mano una cartolina costava meno che stamparla - ebbe almeno tre distinti sviluppi. Prima furono sostanzialmente cartoline intestate, graficamente e tipograficamente molto connotate, che servivano come comunicazione interna al gruppo e come strumento di promozione, oggi diremmo di marketing, per fare conoscere il movimento all'esterno. Poi un efficace veicolo, riproducendo su cartolina le opere più famose degli artisti, per diffondere il segno futurista nel mondo. E infine, con un vero cambio di passo, come opera d'arte essa stessa, nel momento in cui l'artista, per autopromuoversi, trasformava un cartoncino in opera d'arte (come disegno, dipinto, fotografia, collage...) e poi lo affrancava e spediva. E sono queste ovviamente, tutti pezzi unici, le cartoline più preziose, eseguite a mano. Proprio qui è possibile vedere le innovazioni, le sperimentazioni, il work in progress si potrebbe dire, dei singoli artisti e del movimento. Un esempio, fra i tanti: il cartoncino a tecnica mista, collage e matita blu, che Giacomo Balla invia nell'ottobre del 1912 da Roma a madame Khvoshchinsky a Leysin, in Svizzera: il disegno è un incastro di tre forme, definite poi da Balla «modificanti», accompagnato da un testo in cui l'autore spera di poter inviare cartoline che sappiano comunicare lo «stato d'animo colorante» e trasmettere «godimenti di tinte». Oppure la cartolina che lo stesso Balla invia un paio di mesi dopo da Düsseldorf all'allievo Gino Galli, alla casa di Roma, ai Parioli, che è la prova, su cartoncino, delle prime compenetrazioni iridescenti...
Con una potenza inversamente proporzionale alle ridotte dimensioni, la cartolina ulteriore estensione della creatività artistica futurista è l'attuazione pratica dell'idea fondante della prima avanguardia del Novecento: portare l'arte fuori dalle gallerie e dai musei e fare di ogni cosa dai tappeti alla moda, dalla pubblicità ai mobili un'opera d'arte. Il multimediale prima del concetto di multimedialità.
E per il resto, poiché raccontare l'intera collezione censita da Maurizio Scudiero è impossibile, ecco, tra i tanti, alcuni pezzi «scelti». Per scatenare i peggiori istinti cartacei di possesso.
La serie di sei cartoline fotodinamiche realizzate da Anton Giulio Bragaglia (1890-1960) e il fratello Arturo (1893-1962) in concomitanza della pubblicazione del libro Fotodinamismo futurista, 1911 e dintorni, e che nel 1913 risultano già viaggiate. Sono piccole opere d'arte realizzate con un processo chiamato fototipia che permette la stampa contemporanea di foto e testo, trasferendo l'immagine fotografica su un cliché metallico. E in quel momento le foto dinamiche sono qualcosa di talmente nuovo da esser più futurista dei quadri futuristi, cosa che Boccioni intuì subito. E si preoccupò...
Oppure. La prima cartolina a collage astratta di Depero, inviata il 14 agosto 1914 da Rovereto a Roma. Su un lato c'è l'indirizzo del gallerista Giuseppe Sprovieri e la scritta a slogan «Torno presto a Roma» con grafismi fatti di vortici e cunei. Sull'altro un'improvvisata composizione dinamica di forme e colori.
Ancora.
Le cartoline (rarissime) fatte stampare da Prampolini negli anni Venti per pubblicizzare, in un gioco grafico positivo-negativo, colore rosso acceso (e con un effetto quasi optical) i grandi apparati scenotecnici allestiti nella capitale francese per il suo Teatro magnetico. E infine le cartoline di Ivanhoe Gambini, aeropittore, da Busto Arsizio (1902-92), il primo a usare l'aerografo, e siamo negli anni Trenta, in Italia.
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