Chi sono le poetesse? Da Aleramo a Merini il catalogo è questo ma niente quote rosa...

La curatrice Leardini compila il canone delle donne, spesso ignorate dalla critica

Chi sono le poetesse? Da Aleramo a Merini il catalogo è questo ma niente quote rosa...

L'idea di femminilizzare il canone Feminize Your Canon, secondo la formula propalata dalla Paris Review è agghiacciante. Si rischia, così, di parlare di temi più che di testi, di genere più che di generi (letterari), di autoritarismo sociale più che di autorevolezza poetica, con il coro di erinni vittime intorno. Eppure, la questione, riformulata la presenza del genio femminile nel canone ha un suo senso, alla luce dei nudi fatti. L'antologia più canonizzante del secolo, Poeti italiani del Novecento, firma Pier Vincenzo Mengaldo, è il 1978, allinea cinquanta autori: tra questi, soltanto uno, Amelia Rosselli, è donna. I vasti repertori lirici italiani, di norma, relegano le donne ai margini. Così, l'esuberante antologia del comunista Edoardo Sanguineti, Poesia italiana del Novecento, era il 1969, riesce, su quarantacinque autori, alcuni dimenticabili, a non insediare alcuna donna. La poesia italiana è dominio dei maschi? Nell'ambito del romanzo usiamo come microscopio il Premio Strega alcune donne s'erano già imposte, a quell'altezza cronologica: Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese, Lalla Romano. Nel 1926 il Nobel per la letteratura incoronava Grazia Deledda. Non va meglio se sguazziamo nei decenni successivi. La (brutta) antologia ideata dal duo Cucchi-Giovanardi, Poeti italiani del secondo Novecento (Mondadori, 1996), imbarca settantuno poeti di cui otto donne; la (bella) antologia curata da Daniele Piccini su La poesia italiana dal 1960 a oggi (Bur, 2005) seleziona diciannove poeti esemplari: le donne sono soltanto due. Non credo, come scrive Isabella Leardini, che «spesso i giovani poeti si comportano come i loro illustri predecessori: le ragazze fanno parte del gioco ma alla fine giocano un'altra partita»; non conosco «giovani poeti» che abbiano il carisma poetico dei loro anche diretti, o dirimpettai «predecessori» e il gioco del fiocco azzurro o del fiocco rosa non mi appassiona. Mi piacerebbe poter rispondere che alcune tra le più importanti imprese letterarie del secolo scorso erano capitanate da donne Poetry, sotto l'egida di Harriet Monroe e Sur, dominata da Victoria Ocampo, ad esempio; la Hour Press fondata da Nancy Cunard e la Hogarth Press di Virginia Woolf; La Licorne, la rivista di Susana Soca e la Cuala Press di Elizabeth Yeats ma devo, nel contesto italiano, stare con la Leardini: «le donne in poesia sono state incontrovertibilmente una minoranza il canone è soltanto la conseguenza, il riflesso inevitabile di un vizio di sguardo e di una società». La raccolta di Poetesse italiane del Novecento allestita dalla Leardini, Costellazione parallela (Vallecchi Firenze, pagg. 290, euro 18,00) è, dunque, un lavoro necessario, furbo contrappasso di genere: le poetesse vendono molto di più dei poeti , fascinoso. La curatrice poetessa, guida del Centro di Poesia Contemporanea dell'Università di Bologna alterna nomi ovvi, imprescindibili (Ada Negri, Sibilla Aleramo, Antonia Pozzi, Lalla Romano, Maria Luisa Spaziani, Amelia Rosselli, Alda Merini), a sgargianti riscoperte (Nella Nobili e Daria Menicanti, ad esempio). Al centro di questo canone inverso, spicca l'opera di Cristina Campo genio inarginabile, Vittoria Guerrini, questo il vero nome, progettò, già nel 1953, per Gherardo Casini editore, «una raccolta mai tentata finora delle più pure pagine vergate da mano femminile attraverso i tempi», alternando Saffo ad Anna Achmatova, Ildegarda di Bingen a Caterina da Siena e Simone Weil e quella di Fernanda Romagnoli. Scoperta da Attilio Bertolucci, la Romagnoli pubblicò, in vita, due raccolte di pregio, Confiteor (Guanda, 1973) e Il tredicesimo invitato (Garzanti, 1980), dai versi tesi, a tratti bellissimi, di tersa ferocia: «Lei non ha colpa se è bella,/ se la luce accorre al suo volto,/ se il suo passo è disciolto/ come una riva estiva/ Se tu l'ami, lei non ha colpa./ Ma io la vorrei morta». Da qualche tempo, la critica si è accorta della sua grandezza: vent'anni fa Donatella Bisutti ha curato un'edizione de Il tredicesimo invitato e altre poesie per Libri Scheiwiller, l'anno scorso Interno Poesia ha stampato, per merito di Paolo Lagazzi e Caterina Raganella, una scelta di testi come La folle tentazione dell'eterno.

Un'antologia, per sua natura, ha il carisma della suggestione e della provocazione. Il libro ideato dalla Leardini, per non restare velleitario, pretende di esplodere. È ora di lavorare, cioè di pubblicare per intero i libri delle poetesse del secolo scorso. Non esistono quote rosa in poesia eppure: negli ultimi vent'anni il Nobel per la letteratura è andato a otto donne: lo stesso numero di premiate dell'intero secolo precedente ma soltanto la spietata lotta dei testi. Così, a onor di verso, Sibilla Aleramo (di cui il Saggiatore ha da poco pubblicato Tutte le poesie, a cura di Silvio Raffo) non vale Dino Campana; i versi di Mariagloria Sears (una grata scoperta) non sono paragonabili a quelli dell'amico Vittorio Sereni; i testi di Nella Nobili (raccolti nel 2018 per Solferino da Maria Grazia Calandrone come Ho camminato nel mondo con l'anima aperta) sono interessanti ma non rivaleggiano con quelli, chessò, di Andrea Zanzotto; Maria Luisa Spaziani non è Eugenio Montale; Alda Merini è priva della vertigine linguistica del molto meno noto di lei Alessandro Ceni. Questa non è distorsione virile dei sensi estetici: sarebbe perverso affermare il contrario.

Dunque, ben venga il lavoro critico senza impostazioni pregiudiziali o prolegomeni politicamente corretti; io, per dire, amo le poesie di Egle Marini, certi versi di Nadia Campana e Claudia Ruggeri (nessuna inclusa nel canone Leardini).

Lo stesso lavoro, d'altronde, va fatto per riscoprire decine di poeti maschi, dilaniati dall'oblio baccante, imprigionati nel limbo (prendo a prestito il titolo di un libro di Marco Merlin: Poeti nel limbo. Studio sulla generazione perduta, Interlinea, 2004). La poesia è un androgino boia: del poeta il sesso non conta resta la carcassa, il tenue bagliore di alcuni, rari versi.

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