Commentando la richiesta del Mil di un risarcimento da chiedere ai Savoia, il bravo Rino Di Stefano si chiede «con quale faccia Pericu e colleghi possono presentarsi davanti al governo rivendicando i danni fatti dai Savoia a Genova nel 1849». Provo a chiarire perché, secondo me, Pericu e colleghi dovrebbero farlo. Intanto non si capisce perché sia accettabile che Torino chieda il Tesoro dei Savoia (con la richiesta ufficiale dell'on. Raffaele Costa appoggiata dal sindaco di Torino e dal Presidente della Regione Piemonte) e sia velleitario se lo chiede Genova.
La richiesta genovese, infatti, è ben fondata sotto il profilo storico. Poco dopo il Sacco, precisamente il 14 giugno 1849, venne depositata la «Relazione della commissione per l'accertamento dei danni» dove furono certificati e quantificati i danni subiti dai genovesi e dalla città che furono denunciati (è noto che molti, per timore di altre ritorsioni, non lo fecero). Fu proprio sulla base di questa Relazione che, in data 18 luglio 2002, il sen. Aleandro Longhi presentò una dettagliata interpellanza scritta a quattro ministri del governo Berlusconi nella quale chiede di sapere «se non sussistano elementi concreti per il riconoscimento del danno causato alla città di Genova dal re Vittorio Emanuele II, mandante del Sacco di Genova dell'aprile 1849, e sull'obbligo del risarcimento nei confronti del Comune di Genova degli eredi, gli attuali componenti di Casa Savoia». E questo dopo aver affermato, e io sono d'accordo, che «la perdita, illegittimamente subita, dell'indipendenza di un popolo (in questo caso di quello ligure), dei suoi valori e della sua civiltà è inestimabile e non risarcibile se non con il ristabilimento del diritto leso».
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