La chirurgia del ginocchio

L’ingegneria tissutale permette di risolvere con tecniche non invasive le gravi lesioni delle nostre articolazioni

Ignazio Mormino

Parlare di trapianto di menisco può sembrare assurdo, almeno in Italia. Eppure si fanno anche da noi. Ne parliamo col professor Roberto D’Anchise, che dirige l’Unità operativa di chirurgia del ginocchio all’Istituto ortopedico «Galeazzi» di Milano (Gruppo San Donato), il chirurgo che ha eseguito (ottobre 2002) il primo di questi trapianti.
«Esistono - dice - molte riserve. Non possiamo trapiantare un menisco, per esempio, in un paziente che soffre di artrosi o che ha il legamento crociato anteriore rotto. Tendiamo a non intervenire anche nei soggetti che fanno sport da professionisti. Le attuali conoscenze suggeriscono, in questi casi, il ricorso all’artroscopia, poco invasiva. In Italia si eseguono ogni anno oltre 80mila artroscopie».
Torniamo al trapianto. «Nel 2002 - dice ancora D’Anchise - sono stato il primo, in Italia, a fare un trapianto di menisco. La paziente aveva 36 anni e soffriva di fortissimi dolori al ginocchio. Ventiquattro ore dopo l’intervento era già in piedi, sia pure con le stampelle. Da allora ho eseguito altri quattro trapianti di menisco, che ritenevo indispensabili. All’Istituto Galeazzi, col mio team, raggiungo gli ottocento interventi l’anno, le più frequenti sono la ricostruzione del legamento crociato anteriore e la protesi di ginocchio».
Si calcola che, in Italia, siano stati eseguiti fino ad oggi venti trapianti di menisco. In Usa se ne fanno più di cinquemila l’anno. Tuttavia, afferma D’Anchise, l’ortopedia italiana oggi è apprezzata in tutto il mondo. «Abbiamo accusato qualche ritardo - spiega - negli anni Settanta ma oggi siamo alla pari con la Gran Bretagna, la Germania, gli Stati Uniti, nazione quest’ultima che, già nel 1984, ha trapiantato il primo menisco».
In questi giorni il professor D’Anchise partecipa - a Napoli - a un congresso internazionale sulla cartilagine. Questo tessuto connettivale, elastico e flessibile, è fondamentale in ortopedia. Prima d’ogni intervento, il chirurgo deve accertare lo stato del tessuto cartilagineo, il grado della sua usura, la possibilità di ricostruirlo (col soccorso delle «banche» o di speciali colture cellulari).
Col professor Marcacci, dell’Istituto Rizzoli di Bologna, Roberto D’Anchise è uno dei «maestri» italiani che ha sviluppato gli studi sul ruolo delle cartilagini nelle patologie del ginocchio. Se ne occupava già trent’anni fa, ora ne parla nei più importanti congressi internazionali. «Lo scenario che ci aspetta - dice - è strettamente legato all’ingegneria tissutale e ai suoi progressi. Senza questo supporto non si farebbero progressi.

Basti pensare che può di un milione di italiani soffre di artrosi al ginocchio, con dolore intenso e gonfiore, qualche volta addirittura con rigidità di quella articolazione. Ricostruendo la cartilagine, salviamo il paziente».Questa chirurgia tende comunque ad essere «conservativa»: prevede incisioni minime (5 millimetri) e un endoscopio con una piccola telecamera.

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