«Ci sono errori necessari per crescere»

Il critico Usa presenta il suo primo romanzo ambientato durante la Rivoluzione di velluto a Praga

da Pordenone

E sordio romanzesco con caso letterario per uno stimato (e temuto) saggista della nuova onda newyorkese. Caleb Crain autore di nonfiction, racconti e traduzioni, promessa della letteratura Usa, presenta a Pordenonelegge il suo primo romanzo, Errori necessari (66thandthe2nd, pagg. 562, euro 20), ambientato nella Praga del 1990, subito dopo la cosiddetta «rivoluzione di velluto». In questa twilight zone politica, economica e geografica si muove il protagonista Jacob Putnam, studente con velleità di scrittore, incerto in molte cose. «Questo è il mio quarto o quinto “primo romanzo”» racconta Crain. «Per fortuna i tentativi precedenti sono finiti tutti nella spazzatura» ironizza. «Il tipico romanziere di oggi comincia a pubblicare presto, io invece ho cominciato tardi. E questo è stato un vantaggio, perché, avendo già una carriera come giornalista culturale, e come saggista, mi sono sentito libero. Pensavo: nessuno lo leggerà mai, è solo un altro tentativo».

In Italia si ha la sensazione che un vero scrittore debba partorire un romanzo. Gli autori di racconti non sono considerati. Ha scritto un romanzo, e lungo, per questo motivo?

«Non credo. Il problema vero è che scrivendo racconti non si guadagna niente. In America le short stories sono un po' come la poesia, che ormai, da una generazione, si pubblica nelle università, in ambiente accademico. E non ne esce praticamente mai. E anche il genere-racconto ormai è diventato così. A parte Harper's e il New Yorker nessuno paga seriamente per una short story , quindi».

È diventato un romanziere. Che effetto fa?

«Sono abituato a considerarmi un critico, un saggista. Ora, nelle vesti di romanziere non so come comportarmi. Strano. Non ho amici in quell'ambiente. Non so socializzare come scrittore».

Lei ha davvero conosciuto e vissuto la Praga della cosiddetta Rivoluzione di velluto. Non è troppo autobiografico mettere il suo protagonista (anche lui scrittore) in quello scenario?

«È vero, sono luoghi che ho conosciuto e amato. Ma mi interessava soprattutto scrivere un romanzo il cui protagonista è al crocevia tra molte ambiguità. Tra l'essere un ragazzo e un adulto, tra l'eterosessualità e l'omosessualità, tra l'essere uno studente e voler diventare un artista. E che si trova, anche, in una situazione politica di transizione: il passaggio dal comunismo al capitalismo. E infine, anche geograficamente, trovarsi tra Est e Ovest ha il suo significato. Correlativi oggettivi del mio protagonista».

Cosa sono gli «errori» di cui parla il suo libro? Sorta di strumenti per una redenzione laica?

«Bella idea. Forse sono una sorta di redenzione».

Il suo è un romanzo di formazione quasi in stile Ottocento. Tra l'altro lei cita spesso autori di quel periodo. Pensa che per capire la realtà di oggi serva più l'Otto che il Novecento?

«Beh, ci sono molti temi storici ottocenteschi che oggi tornano. I nazionalismi, certe ingiustizie sociali. Dalla caduta dell'Urss il mercato ha vinto, e, non siamo ridicoli: non c'è nessuna alternativa».

Com'è il panorama letterario di New York?

«C'è molto fermento. In questo momento c'è in corso il Brooklyn book festival, che ha sempre appuntamenti stimolanti. Ci sono ottimi critici, si interagisce, si parla».

Quali sono le mode teoriche? Il postmoderno impera sempre?

«Pensi che il caso letterario di queste settimane è 10:4 di Ben Lerner. Un romanzo in cui il protagonista si chiama Ben Lerner e scrive un romanzo. Direi che il postmoderno sta benissimo, anche troppo».

E invece dal punto di vista economico?

«Tutti sanno che internet cambierà, e forse distruggerà, il modello economico della letteratura. Ma almeno, tra scrittori, ci si ragiona e ci si arrabbia insieme. Che non è male».

Abbiamo avuto notizia della rivolta degli autori americani contro Amazon...

«Credo che i guadagni si abbasseranno molto, e comunque sono già imparagonabili a quelli di 5 o 10 anni fa».

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