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Con il Ciampi-bis Fini ha sparigliato le carte a sinistra

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Paolo Armaroli

La marcia per il Quirinale è stata sempre una marcialonga, cominciata con largo anticipo rispetto alla scadenza dell’inquilino del Colle. Perciò non si capisce perché abbia destato scandalo l’ipotesi di ricandidare Ciampi ventilata da Fini. Ora, sbaglieremo. Ma più che una vera e propria proposta, il presidente di An ha lanciato un ballon d’essai. Ha aperto bocca per vedere l’effetto che avrebbero fatto le sue parole. Se così stanno le cose, non c’è dubbio che Fini ha colto nel segno. La riprova è che l’imbarazzo nell’Unione si è tagliato a fette. Nessuno ha detto un rotondo no per non inimicarsi Ciampi. Ma il giocherello le si è rotto tra le mani. Convinta della vittoria, l’Unione già sta meditando di insediare propri uomini ai vertici dello Stato. E adesso quel rompiscatole di Fini rischia di romperle le uova nel paniere.
Tuttavia il ballon d’essai del presidente della destra non è rivolto solo al centrosinistra ma anche, senza parere, allo stesso Ciampi. Al quale Fini ha voluto ricordare che la Casa delle libertà ha contribuito in maniera determinante alla sua elezione sei anni fa e che, a certe condizioni, potrebbe ricandidarlo l’anno prossimo. La cosa ha la sua brava spiegazione. Il centrodestra non ha motivo di dolersi di una presidenza, come quella di Ciampi, che è stata impeccabile. Difatti l’attuale inquilino del Colle ha esercitato tutti quanti i poteri conferitigli dalla Costituzione senza mai travalicarli. E di questo gli va dato doverosamente atto. Tuttavia, si sa, nessuno è perfetto. E infatti le sue nomine sono state alquanto deludenti sotto il profilo politico.
Ciampi ha nominato senatori a vita Napolitano e Pininfarina, sui quali nessuno potrebbe avere nulla da ridire per l’alto profilo delle due personalità. Sennonché l’uno è un uomo di partito allo stato puro, mentre l’altro è un uomo di sentimenti liberali pescato tra la società civile. Ora, se si guarda al complesso dei senatori di diritto e a vita, bisogna riconoscere che essi pendono quasi tutti a sinistra. A più forte ragione il discorso vale per la nomina dei giudici costituzionali. Ciampi ne ha nominati cinque in tutto. Due sono stati suoi ministri, Gallo e Cassese. Due, Flick e Tesauro, sono al pari dei primi riferibili all’area di centrosinistra. E la Saulle è una cattolica dai contorni politici indecifrabili. Insomma, anche per quanto riguarda la Consulta un riequilibrio non solo non si è registrato ma addirittura si è ancor più accentuata la tendenza in atto. Perciò le parole di Fini vanno lette così: «Signor Presidente, ci siamo anche noi!».
Questa marcialonga per il Quirinale presenta stavolta un’anomalia. Difatti non sarà questo ma il prossimo Parlamento a eleggere il successore di Ciampi. Perciò ci troviamo di fronte a un velo d’ignoranza. Oggi come oggi, nessuno può dire chi vincerà le elezioni. Se l’una o l’altra coalizione si aggiudicherà con nettezza la posta in gioco, chi vincerà avrà i suoi uomini da piazzare. Se invece la partita finirà con un sostanziale pareggio, tutto può succedere. In tal caso, il centrosinistra parte comunque avvantaggiato. Difatti potrà contare su 36 dei 58 delegati regionali e su quasi tutti i senatori di diritto e a vita. Ma i franchi tiratori hanno quasi sempre fatto uscire cardinale chi era entrato papa nell’aula di Montecitorio. E con ogni probabilità si scateneranno anche stavolta. Perciò non si può escludere che dopo un considerevole numero di scrutini andati a vuoto, i due fronti stremati convergano sul nome di Ciampi considerato alla fin fine una garanzia per tutti.

Vero è che non si è mai dato il caso di una rielezione perché un mandato di quattordici anni trasformerebbe un presidente della Repubblica in un monarca. Ma ogni regola ha la sua brava eccezione. E poi mai dire mai...
paoloarmaroli@tin.it

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