Ciao Raimondo. E tutti abbracciano Sandra

Basta il tocco di una mano. Una stretta sulla spalla. O anche una tenera carezza. Sia quel che sia, è proprio nei giorni più bui, quando il mondo lo senti crudelmente vuoto e intollerabilmente stretto, che puoi riconoscere gli amici veri. Quelli ai quali ti puoi aggrappare. Quelli ai quali ti puoi sorreggere. Quelli ai quali, tuttavia, non devi nemmeno chiedere. Perché loro saranno già lì. Con un gesto e un sorriso. Ed è stato infatti un amico, un amico di nome Silvio - precisare che si tratta del presidente del Consiglio che cosa aggiungerebbe mai, in momenti così? - ad assistere minuto dopo minuto Sandra Mondaini nell’ultimo abbraccio terreno a Raimondo Vianello, suo compagno per cinquant’anni. Ovvero mezzo secolo. Quindi tutta una vita.
In piedi alle spalle di Sandra per l’intera durata della cerimonia funebre, nel candore scandinavo e geometrico della parrocchia di Dio Padre, a Milano 2, l’amico Silvio Berlusconi non ha lasciato nemmeno per un attimo l’attrice. Ne ha sorretto paternamente il capo tra le mani, come si fa con chi è malato. Ne ha massaggiato fraternamente le spalle, quasi a volergliele sciogliere da quell’immaginabile grumo di dolore che sembrava poterla sbriciolare da un momento all’altro. E ne ha accarezzato ripetutamente il volto, come avrebbe fatto un nonno con una nipotina.
Lei, visibilmente fragile, seduta su una carrozzella e con una vistosa fascia che le copriva l’occhio sinistro, enfatizzandone la disperazione, era una maschera piagata da un dolore assoluto, ormai senza più aggettivi. Sgusciato da sotto la mantella nera bordata di rosso, l’avambraccio sinistro, sottile come lo stelo di un calice di vetro, è rimasto sempre appoggiato alla bara. Mentre le dita della mano, pur se esangui, parevano voler affondare con l’ultima forza rimasta fin dentro quel legno biondo. Come nel tentativo di voler dare al partner di una vita - vissuta e recitata con lo stesso amore gaio e la medesima arguta leggerezza - un ultimo, fisico e consolatorio contatto.
Fuori da quella chiesetta moderna dagli spigoli aguzzi, troppo piccola per contenerle tutte, erano però migliaia le persone radunatesi per dare l’ultimo saluto a Vianello, a quel suo indimenticabile volto allungato e pallido, altrettanto british quanto il suo umorismo lieve. Eppure inopinatamente prestato - per via di nascita - proprio alla romanità. Che senz’altro è tutto, meno che lieve e british.
C’erano i colleghi di lavoro, certo. Da un Pippo Baudo che con voce rotta ha detto «Raimondo oggi ci direbbe “andate via tutti”» a un Gerry Scotti legittimamente infastidito dai microfoni e che per questo ha preferito non ricordare altro se non che «oggi è il giorno del silenzio». E ne sono passati di lì anche tanti altri - conduttori in servizio attivo ed ex vallette diventate ormai delle sciure -, per una volta a capo chino e senza lustrini, lasciando a casa perfino quel pizzico di prosopopea da notorietà di chi proprio per questo si era abituato a tirarsela un po’. C’erano le istituzioni, ed era ovvio, con il sindaco di Milano Letizia Moratti in prima fila. C’era l’azienda Mediaset, ed era scontato, con l’attonito dolore del presidente Fedele Confalonieri. C’era perfino la politica, ci mancherebbe, rappresentata dai volti impietriti del ministro Ignazio La Russa e del sottosegretario Daniela Santanchè.
Ma come era successo il giorno precedente alla camera ardente, anche ieri è stato in prima persona il suo pubblico, il pubblico di Vianello, a pregare coralmente per lui e ad accarezzare collettivamente Sandra. O a commuoversi all’unisono per i ricordi spezzati dalla commozione di Raymond e Gianmarco, i figli di Rosalyn, la signora filippina che la coppia più fintamente litigiosa e più sinceramente unita d’Italia aveva di fatto adottato. «Ci hai insegnato l’educazione, l’umorismo e soprattutto il rispetto», lo ha ringraziato Raymond.
Sfidando divieti, rimbrotti e sguardi in tralice dispensati da carabinieri e polizia, facendo un disinvolto slalom tra i marcantoni dei servizi d’ordine e le auto blu con i lampeggianti accesi, il popolo di Sandra e Raimondo è rimasto comunque lì, caparbio fino all’ultimo. Avanzando quando non visto, fingendo di arretrare se scoperto.

Assiepandosi lungo le strade senza traffico e sui ponticelli color mattone di Milano 2, trasformati in improvvisati spalti, ma soprattutto dilagando nel prato alle spalle della chiesa dove un maxischermo rimandava amplificate parole e musiche, omelie e singhiozzi, carezze e dolore, fiati d’organo e bagliori di candele. Fino all’ecumenico e rasserenante «scambiatevi un segno di pace». L’invito più appropriato per ricordare uno come lui.

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