Si muove veloce e con passi brevi, ma di spazio Ernesto Colnago ne copre a sufficienza, ancora oggi. «Stare tutto il giorno in piedi a raccontare è bello, ma anche faticoso», ci racconta con i suoi occhi vispi, capaci di cogliere tutto al volo. Qui, a «LA Collezione» di Cambiago, spazio elegante e razionale voluto da suo nipote Alessandro che ne è il direttore, sono esposte le biciclette, quelle con l’asso di fiori, frutto della maestria di questo piccolo grande uomo nato il 9 febbraio del 1932, che nel mondo della bicicletta è sempre stato considerato un gigante. «L’alta gamma è nata qui, dove c’erano la casa e la bottega, anche se la prima vera sede era in via Garibaldi 10: un bugigattolo di 5 metri per 5».
Ma al 5 per 5 come ci arriva?
«A 19 anni corro la Milano -Bus seto, dopo il traguardo cado e mi procuro la frattura del perone destro. Stecca di legno e addio fabbrica. Ma io con le mani in mano non ci posso proprio restare, così chiedo al caporeparto di lavorare da casa, oggi come si direbbe? “Smart working”. Lui mi dice. “Proviamo!”. Montando e centrando ruote da casa guadagno più che in un mese in fabbrica alla Gloria, così affittai una stanza di 5 metri per 5 in viale Garibaldi 10 e lì cominciai la mia avventura».
Poi nella sua vita irrompe il «terzo uomo»: Fiorenzo Magni.
«È la primavera del 1955 e mancano pochi giorni all’inizio del Giro d’Italia. Vado a fare una “sgambata” in bici e con noi c’è anche il “terzo uomo”. Ad un certo punto ci si ferma ad un abbeveratoio.
Magni ha male ad una gamba e io gli consiglio di seguirmi nella mia piccola officina di Cambiago dove gli avrei sistemato la pedivella che per me era storta. Il giorno dopo viene da me Isaia Steffano, suo indimenticato massaggiatore, per dirmi: “Ha detto il signor Magni se te la senti di venire al Giro d’Italia”. Non me lo feci ripetere due volte: fu la mia fortuna».
Come l’asso di fiori.
«Sono alla Molteni e nel 1970 vivo una delle giornate più belle della mia vita: la Sanremo di Michele Dancelli. Per quella vittoria nasce l’asso di fiori, grazie a Bruno Raschi, firma principe della “Gazzetta” che alla sera incontro per caso al ristorante. “Asso, perché tu sei un asso tra i meccanici, e di fiori, perché è il simbolo di Sanremo”, mi dice. E io lo ascolto».
Torniamo ai corridori: Dancelli, ma anche Motta.
«Gianni, talento enorme, classe purissima. Eleganza da vendere. Gli diedi una bicicletta da pagare a rate, mi deve ancora 14 mila lire, ma la gioia che mi regalò fu impagabile».
Poi ecco Merckx.
«Tante le vittorie, tantissime le soddisfazioni, come quella del record dell’ora a Città del Messico nel 1972. Limando, saldando e forando creai una bicicletta di cinque chili e 750 grammi. Fu esposta anche al MoMa – il Museo di arte Moderna – di New York. Oggi è qui, in bella mostra a “LA Collezione”, assieme alle altre. Da allora non passa un 25 ottobre che Eddy non mi chiami per salutarmi e ricordarmi quella fantastica giornata. Per me è come un compleanno».
Il record dell’ora anche con Mary Cressari.
«Fui il primo a credere ciecamente al movimento femminile, grazie ad Alfredo Bonariva, ex gregario di Coppi, che per anni fu punto di riferimento del movimento».
Ed ecco Beppe Saronni.
«Mi ricordava Costante Girardengo: scatto, potenza e un’infinita furbizia. Il mondiale di Goodwood, un capolavoro. Adrenalina pura. Una progressione che è rimasta negli annali non solo della storia del ciclismo, ma dello sport».
Tanti corridori, ma tanti manager e tante eccellenze incontrate.
«Su tutti Enzo Ferrari, il quale mi ha consentito di portare la bicicletta in una nuova dimensione, grazie al carbonio. Altro incontro fondamentale fu quello con Giorgio Squinzi, il signor Mapei. Con lui vissi anni stupendi. Quante vittorie, quante gioie, come quella ottenuta alla Roubaix del 1995. Continuavano a chiamare il dottore dalla Francia per dirgli che le nostre biciclette si sarebbero spezzate in due su quelle superfici. Io gli giurai che non era così: i test avevano dimostrato la loro affidabilità. Bene, Franco Ballerini vinse. E di Roubaix ne vincemmo altre quattro. Da quel momento, nulla fu come prima».
Anche la forcella dritta nacque da una «dritta» di Ferrari.
«Esattamente e con la Ferrari Engineering nacque anche la Concept, una bici fin troppo rivoluzionaria, con freno idraulico e cambio desmodromico. Da quella bicicletta però presero spunto e vita la C40, la C50, la C59, la C60...».
Meglio Merckx o Pogacar?
«Tadej è un talento assoluto, un corridore universale e sono felice che quest’anno venga a correre il Giro, ma lasciamo stare Merckx, quello è stato un iradiddio».
Tra i personaggi c’è anche un Papa divenuto Santo: Karol Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II.
«Gli feci una bicicletta d’oro, che gli donai il 29 agosto del 1979. Quando il Santo Padre venne a mancare la bici andò all’asta. Riuscì a mettermi in contatto con chi l’acquistò e la presi io: oggi è visibile in una teca a “LA Collezione”».
Un amico vero.
«Giorgio Squinzi e sua moglie Adriana Spazzoli».
Se deve dire grazie.
«Alla mia famiglia. A Vincenzina con la quale ho condiviso sessant’anni stupendi della mia vita. Ad Anna, mia figlia e a Vanni, mio genero.
Si sente più Einstein o mastro Geppetto?
«Forse Walt Disney: anch’io ho fatto sognare grandi e piccini».
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