Non solo Mäder, da Simpson a Casartelli ecco le altre tragedie nel ciclismo

Gino Mäder è soltanto l'ultimo protagonista di una delle tante pagine tristi del ciclismo. Le tragedie di Tom Simpson e Fabio Casartelli sono tra quelle che hanno lasciato più il segno

Non solo Mäder, da Simpson a Casartelli ecco le altre tragedie nel ciclismo

La morte di Gino Mäder, il corridore elvetico morto durante la 5ª tappa del Giro di Svizzera, ha scosso il mondo del ciclismo. Una tragedia che ha riportato alla mente le pagine tristi, di uno sport che forse come nessun altro riesce ad attirare su di sé la crudeltà del destino. Non ci sono infatti solo vittorie e imprese nel ciclismo, ma anche vite spezzate in un attimo senza un perché.

Gli annali dei ciclisti morti in gara partono dal decesso del francese Pierre Forget avvenuto il 21 agosto del 1894 all'interno del velodromo di Vichy durante una gara di tandem: aveva 21 anni. L'ultimo decesso quello del belga Bjorg Lambrecht il 5 agosto del 2019 dopo una caduta durante la 3ª tappa del Giro di Polonia.

Purtroppo tante anche le vittime italiane: Giulio Bartali (fratello di Gino) il 14 giugno del 1936 a Firenze, Serse Coppi il 29 giugno del 1951 al Giro del Piemonte, Orfeo Ponsin il 20 maggio del 1952 durante la 4ª tappa del Giro d'Italia dopo aver sbattuto contro un albero nella tappa Siena-Roma, Alessandro Fantini il 5 maggio del 1961 nella 6ª tappa del Giro di Germania, Emilio Ravasio, il 28 maggio del 1986 nella 1ª tappa del Giro (a seguito di malore).

Poi nei tempi più recenti Fabio Casartelli il 18 luglio del 1995 durante la 15ª tappa del Tour de France cadendo nella discesa dal Colle di Portet-d'Aspet, Alessio Galletti il 15 giugno del 2005 a seguito di arresto cardio-circolatorio a 15 km dall'arrivo in Spagna, e Thomas Casarotto il 15 settembre del 2010 al Giro del Friuli dopo essere caduto causa aver colpito lo specchietto di un'autovettura parcheggiata a bordo strada.

Tom Simpson, la morte che cambiò il ciclismo

Il 13 luglio 1967 è prevista la tappa da Marsiglia a Carpentras. Alla partenza e per tutto il percorso c’è un caldo terribile. Tom Simpson non è in giornata e rischia continuamente di staccarsi dal gruppo dei migliori. Ci si avvicina al Mont Ventoux, Tom chiede ad un compagno di squadra di procurargli qualcosa da bere. In quel periodo era proibito passare da bere e da mangiare ai ciclisti dalle ammiraglie. Il compagno si ferma ad un bar, ma non è stato l’unico ad avere quest’idea e lo trova quasi totalmente svuotato.

L’unico liquido rimasto da bere, tra gli scaffali, è una bottiglia di cognac. Lui la prende, raggiunge il suo capitano e gliela porge. L'inglese, senza neanche guardare, preso dalla fatica, prende la bottiglia e tracanna un sorso, solo uno, perché appena si accorge di quello che sta bevendo la butta subito via. a salita oramai è iniziata e la fatica comincia a farsi sentire. Simpson prende dalla tasca una pasticca di anfetamine e ricomincia a salire. Lungo la salita comincia a zigzagare, ha lo sguardo perso nel vuoto. Provano a passargli una borraccia ma lui neanche se ne accorge. A pochi chilometri dalla vetta cade una prima volta dalla bici.

Il meccanico della squadra che lo seguiva con la macchina allora lo rimette in sella. Pedala ancora qualche metro, poi cadrà ancora una volta, l’ultima, quando l’arrivo è ormai a circa un chilometro, e non si rialzerà più. Chiuderà gli occhi per sempre. Simpson è considerato la prima vittima del doping. Sicuramente il mix di alcol e anfetamine è stato letale. Le anfetamine probabilmente gli inibirono la percezione della fatica. Il resto lo fecero il caldo, la fatica e il sorso di cognac. Di sicuro resta la drammaticità di una storia che cambiò per sempre il mondo del ciclismo.

La tragedia di Fabio Casartelli

Al campione olimpico di Barcellona '92 e compagno di squadra di Lance Armstrong alla Motorola, morto sulla discesa del Portet-d'Aspet, resta legata una delle pagine più tristi della storia del ciclismo. Siamo alla 15ª tappa della Grande Boucle dominata da Miguel Indurain, 18 luglio 1995, con traguardo a Cauterets, nel cuore delle vallate pirenaiche. Fa un caldo infernale. Alle 11.45 la radio della corsa gracchia "Chute, chute!", facendo capire che si tratta di una caduta più grave delle altre. Siamo nel pieno della discesa del Portet d’Aspet, valico dell’Alta Garonna affrontato con frequenza al Tour.

A terra, una decina di atleti: il francese Dante Rezze è finito nella scarpata, tra gli alberi. Ma Fabio Casartelli è immobile sul fianco destro, dopo aver sbattuto, ad oltre 80 km/h e senza casco a causa del caldo torrido, contro un paracarro in cemento, mentre un rivolo di sangue scende sulla carreggiata. L’elisoccorso interviene prontamente, per trasportare lo sfortunato corridore all’ospedale di Tarbes, dove si reca con urgenza anche Massimo Testa, medico della Motorola. Durante il volo, il cuore di Fabio si ferma per tre volte, venendo rianimato dai soccorittori. Ma nel reparto di rianimazione della clinica, poco dopo le 14, la sua vita si spegne. Non si sarebbe salvato nemmeno col casco, affermano i medici di gara, perchè le fratture generate dal violentissimo impatto sono di una gravità estrema.

Nonostante la notizia si diffonda rapidamente, quel giorno la corsa va avanti come se nulla fosse, con i baci delle Miss e le abituali cerimonie di premiazione per Richard Virenque, vincitore della tappa, che afferma di non essere stato messo al corrente della notizia. Il giorno dopo, la carovana si sposta verso Pau, classico traguardo pirenaico della Grande Boucle.

Ma non c’è corsa: i corridori, per sottolineare la loro solidarietà con la famiglia Casartelli, non si danno battaglia, e i compagni della Motorola, tagliano il traguardo per primi uno a fianco all'altro, senza che venga stabilito l’ordine d’arrivo.

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