L’edizione numero 110 della corsa a tappe più prestigiosa al mondo è appena passata nei libri di storia; tempo quindi di fare il punto e dedicarsi all’ingrato compito di riassumere tre settimane di fatica, sudore e spettacolo in poche righe. Di cose in questo Tour de France se ne sono viste parecchie, con alcuni talenti che si sono guadagnati il proscenio, diverse sorprese, conferme e, finalmente, una soddisfazione per il sofferente mondo delle due ruote azzurre. Ecco quindi il nostro, discutibilissimo, pagellone della Grande Boucle 2023, con i top, i flop ed i rimandati di questo festival del ciclismo.
Jonas Vingegaard (Jumbo) 9
D’accordo, non è particolarmente mediatico, con quella sua timidezza un po’ fuori dal tempo, le frasi fatte davanti ai microfoni e quella voglia di dedicarsi solo alla sua famiglia ma impossibile negare che la stoffa al danese certo non manca. Ripetersi al Tour non è mai semplice; farlo da favorito ancora meno. Eppure il capitano della Jumbo-Visma è apparso sempre in controllo, sicuro dei suoi mezzi e della preparazione meticolosa dedicata dallo squadrone olandese nei mesi scorsi.
Non è un robot, soffre le provocazioni del rivale, ogni tanto incassa qualche defaillance ma limita i danni, per poi rendere il favore, con gli interessi, quando conta davvero. In questo 2023 ha praticamente sempre vinto, tranne che alla Parigi-Nizza, sconfitto proprio da Pogacar ma ora avrà un compito non semplice: farsi una Vuelta da co-capitano con un cliente scomodo come Primoz Roglic, per provare il Grande Slam della Jumbo.
Jasper Philipsen (Alpecin) 8
Simpatico non lo è il 25enne belga e nel peloton si è fatto una pessima reputazione, cosa che non porta mai bene alla lunga, ma in questo Tour quando si è trattato di fare una volata c’era quasi sempre. Considerato che di velocisti top non ne mancava quasi nessuno, non è impresa da poco. Quattro vittorie in volata, due secondi posti per un niente, a Limoges e Parigi, due quarti posti che si traducono in un dominio quasi imbarazzante nella classifica a punti.
La maglia verde era forse il massimo per uno come lui che, in salita, non è certo a casa sua e non ci sono stati dubbi su chi avrebbe vinto quest’anno. Le polemiche lo inseguono, dal tentativo di bullismo nei confronti di Eenkhoorn alle manovre spericolate in volata ma nel ciclismo c’è bisogno anche degli antieroi, specialmente quando sono veloci ed esplosivi come lui.
Tadej Pogacar (UAE) 8
Arrivare ad una gara massacrante come il Tour con meno di un mese di allenamento nelle gambe era una palla al piede stile galeotto ma il campione sloveno fa il massimo. Appena può, prova a gettare il guanto di sfida a Vingegaard e lo punzecchia spesso e volentieri. La strategia, figlia di una prepotenza fisica forse non più enorme come qualche tempo fa, è parecchio dispendiosa ed il fisico non al massimo chiede il conto in una due giorni da incubo. Dopo la batosta nella cronometro, il calvario infinito del Col de la Loze, la prima volta in carriera che Tadej si è sentito abbandonato dal suo fisico poderoso.
Pogacar incassa, mastica amaro ma riesce addirittura a crescere negli ultimi giorni, assestando il colpo sui Vosgi, scaricando la rabbia in quell’urlo sul traguardo di Le Markstein. Ci prova anche a Parigi, tanto per non farsi mancare niente. Sembra poco ma la quarta maglia bianca di fila è un unicum al Tour, come il quinto podio in un Grand Tour su cinque partecipazioni. Ora che sa come soffrire, Pogacar riemergerà ancora più determinato. Gli avversari, Vingegaard in testa, sono avvertiti.
Giulio Ciccone (Lidl) 7,5
Prima della partenza a Bilbao molti avevano sorriso quando l’abruzzese aveva dichiarato di puntare alla maglia a pois, quasi schifata in Italia ma una questione di religione laica oltralpe. Eppure Giulio quell’obiettivo l’aveva cerchiato in rosso sul calendario e ha fatto l’impossibile per portarlo a casa, 31 anni dopo l’ultimo exploit del Diablo Chiappucci. Molti tifosi italiani hanno storto la bocca quando non ha fatto il massimo per mettere fine alla lunga siccità di vittorie di tappa o quando, dopo la tappa di Laruns, ha ignorato il terzo posto nella generale. Nel ciclismo moderno non c’è spazio per l’improvvisazione: maglia a pois doveva essere e maglia a pois è stata, senza distrazioni o colpi di testa.
Ciccone si rivede nel finale della seconda settimana e nei tapponi di Courchevel e Le Markstein, portando a casa una vittoria storica. Certo, ha avuto dalla sua una squadra che, finalmente ha creduto in lui, mettendogli al servizio due talenti niente male come Pedersen e Skjelmose. Più avanti ci sarà, forse, spazio per cercare vittorie più prestigiose ma, almeno per ora, basta e avanza così. Chapeau.
Adam Yates (UAE) 7
Farsi spazio in un mondo complicato come quello del ciclismo quando, con una maglietta di un altro colore, hai un gemello non è semplice ma il 31enne inglese ci è riuscito in pieno. Ora che può vantare il primo podio in un Grand Tour, forse Adam riuscirà ad uscire dall’ombra del fratello Simon. Undici minuti di distacco non sono pochi ma la UAE non lavorava per lui: spesso è stato anzi costretto a lavorare per dare una mano al capitano, quel Tadej Pogacar che gli deve molto.
Arrivare terzo da gregario è impresa quasi mai vista al Tour de France; farlo togliendosi la soddisfazione di vincere la Grand Depart di Bilbao ed indossare la maglia gialla è ancora più complicato. Fino a quando avrà in squadra uno come lo sloveno, difficile possa fare meglio ma il talento di Bury ci proverà fino alla fine. Applausi.
Wout van Aert (Jumbo) 7
Prima di lasciare il Tour per andare ad assistere la moglie, che stava per dargli il secondo figlio, il campione belga si è smazzato non poco per riuscire a chiudere la Grande Boucle con una vittoria di tappa, come successo nelle ultime quattro edizioni. Non è certo stato fortunato ma non gli è mancata né la gamba né il coraggio di provarci sempre e comunque, dalle volate più complicate alle salite più arcigne.
La Jumbo-Visma è quasi calvinista quando si tratta di fare le strategie di corsa, quindi sarebbe stato impossibile chiedergli di cambiarle di una virgola per un obiettivo insignificante come una vittoria di tappa. Wout si è messo l’animo in pace ed ha provato a fare il massimo quando non impegnato a difendere a spada tratta il suo capitano. Non gli è andata bene ma ha offerto un contributo non marginale al trionfo di Vingegaard. Avercene di ciclisti completi e generosi come lui.
Menzioni speciali? Gli azzurri
Di storie interessanti in questo Tour se ne sono viste davvero tante, dalla garra mostrata dal danese Mads Pedersen, sempre all’attacco ma pronto a mettersi al servizio di Ciccone quando serve, alla lucida follia di Victor Campenaerts, sconsiderato, spettacolare, quasi insensato nella sua voglia di attaccare sempre e comunque, anche quando le possibilità di farcela sono vicine allo zero. Quasi commovente, poi, il Tour della Bahrain-Victorious, arrivata con l’animo pesante come un macigno dopo la morte insensata dello svizzero Gino Mäder e riuscita a portare a casa tre vittorie di tappa con tre ciclisti diversi, sempre col dito al cielo per ricordare il compagno scomparso. Bella anche la storia della Cofidis, a secco di vittorie dal 2008 e riuscita a doppiare la vittoria di Lafay nella seconda tappa con il trionfo di Izagirre a Belleville.
Per quanto ci riguarda, però, i veri eroi sono gli “altri” azzurri: Luca Mozzato ha fatto un gran passo avanti davanti al 2022, riuscendo a finire tre volte tra la top 10 in volata mentre Daniel Oss ha provato un’azione d’altri tempi, facendo vedere che il talento non gli manca di sicuro. Matteo Trentin si è fatto vedere spesso e volentieri, regalando poi una battuta memorabile, quella sul motorino truccato necessario per tenere il passo del Tour. Considerato che erano rimasti in sei dopo la caduta dello sfortunato Guarnieri, non malissimo. La voglia di rifarsi è tanta; speriamo che almeno il mondiale dia qualche soddisfazione.
Rimandati? Van der Poel e i francesi
Il Tour del talento olandese è stato fin troppo normale per uno come Mathieu van der Poel, dal quale ci si aspetta sempre l’impossibile. Sembra chiaro che voglia puntare sul mondiale agostano e per questo abbia tirato più volte i remi in barca, senza mai trovare l’acuto. Intendiamoci, il suo l’ha fatto eccome, specialmente come ultimo uomo per il cannibale delle volate Philipsen ma un po’ pochino visto l’enorme potenziale.
Cosa dire poi dei cugini transalpini? Se Italia Atene piange, Francia Sparta non ride di sicuro. Una vittoria è arrivata grazie a Lafay ma le punte di diamante, da Alaphilippe a Gaudu e Martin certo non hanno brillato, specialmente Julian, che aveva una squadra al suo servizio. Certo c’è stata la caduta di Bardet e l’emozionante last dance di Thibaut Pinot sui Vosgi, a casa sua, ma nella corsa di casa si sarebbe dovuto fare decisamente meglio.
I flop? La EF, Landa e Sagan
Tutto bene, quindi? Tutti bravi, tutti da applaudire? Non proprio. Sul banco degli imputati non può non esserci la EF, che alla partenza sperava di fare molto meglio. Certo, perdere uno come Carapaz all’inizio non è ideale, ma chiudere senza nemmeno un podio è davvero pochino. Alberto Bettiol ha provato a rimediare, lavorando per i compagni ed entrando in qualche fuga ma non è stato fortunato. Powless si fa vedere nella lotta per la maglia a pois, prima di eclissarsi nel finale. Magnus Cort-Nielsen e Rigoberto Uran assenti ingiustificati.
Mikel Landa, poi, parte decisamente bene nei Paesi Baschi ma poi svanisce dai radar, senza riuscire a reggere il passo non solo dei due cannibali delle salite ma anche perdendo l’occasione di aggregarsi a fughe interessanti.
Cosa dire, poi, dell’ex campione del mondo Peter Sagan, al suo ultimo Tour de France? D’accordo, i problemi legali e la caduta a poche settimane dalla partenza non erano il massimo ma vederlo così, sempre fuori dai giochi, dopo aver vestito per ben sette volte la maglia verde è davvero desolante. Non va oltre l’ottavo posto a Moulins. Il suo posto nella storia del ciclismo non glielo toglierà nessuno: forse, sarebbe stato meglio ritirarsi prima.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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