Parte oggi dalla Costa dei Trabocchi in Abruzzo la centoseiesima edizione del Giro d'Italia. Un caleidoscopio dell'italianità, prima ancora che una corsa ciclistica, che nel suo perenne ripetersi ricorda al Paese di essere unito, ne racconta le periferie, ne esalta il lato più discreto e profondo. Quanto capì, poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, un narratore d'eccezione della Corsa Rosa: Indro Montanelli.
Tra le molte vite professionali del fondatore de Il Giornale, infatti, una delle meno note è quella legata all'esperienza che lo vide cronista al Giro d'Italia 1947 e 1948. Da lui seguiti durante un biennio di Purgatorio in cui Indro da Fucecchio era stato relegato dal Corriere della Sera in seconda fila per valutare le sue credenziali antifasciste dopo la fine del regime di Salò, che pure Montanelli aveva condannato addirittura a morte prima della Liberazione. In attesa di riconquistare gli onori delle cronache politiche che si sarebbe preso con talento e preparazione, Montanelli seguì due anni la carovana rosa nelle torride giornate della fine primavera 1947 e del 1948.
Il racconto del Giro d'Italia divenne per Montanelli l'occasione di viaggiare e conoscere l'Italia della Ricostruzione. E, ovviamente, di narrarla. Nelle cronache del Giro di Montanelli si rivede tutta la graffiante ironia e la visione del futuro cantore della piccola borghesia italiana, delle sue aspirazioni, del suo talento e dei suoi vizi. Si vede snocciolata l'Italia che usciva dalla Seconda guerra mondiale e si scopriva, allora fisicamente e non solo metaforicamente, unita con la Corsa Rosa.
Dopo che il comitato organizzatore, presieduto da Bruno Roghi, direttore de “La Gazzetta dello Sport”, aveva nel 1946 portato il Giro d'Italia da Milano a Napoli, l'anno successivo, con la Repubblica nata e consolidata che si avviava verso il varo della Costituzione, la carovana fece un giro ad anello partito e concluso nella città ambrosiana e arrivato a toccare Pescara, Foggia, Bari nel Sud d'Italia. Montanelli la seguì sfruttando il Giro per raccontare l'Italia dell'epoca e i suoi protagonisti. Gino Bartali, il suo corridore favorito, veniva nelle cronache paragonato a Alcide de Gasperi. L'uomo conservatore da prendere come simbolo. Fausto Coppi fu raccontato come l'emblema di un'Italia esuberante e moderna, sicuramente dinamica ma dissacrante nei valori tradizionali. Retaggio della lettura di un dualismo che vedeva il "comunista" Coppi da un lato e il "democristiano" Bartali dall'altro. "
Nelle parole di Montanelli spicca spesso il richiamo alla festa del Giro. "Il Giro non ha date, ogni giorno è domenica", soleva ricordare in continuazione mettendo la carovana dei "girini", dilettanti allenati nel tempo libero in larga misura, in parallelo alla folla che tappa dopo tappa si incontrava. Ex militari vestiti di tutto punto a picchetto d'onore dei corridori, agricoltori che salutavano i ciclisti innalzando al cielo polli infilazati allo spiedo, madri con bambini, anziani memori del Giro dei tempi eroici: le parole di Montanelli distillano l'Italia profonda pedalata dopo pedalata. Il Giro per Montanelli era "saragatiano", un richiamo a Giuseppe Saragat ritenuto il politico capace di mediare di più tra borghesia e socialdemocrazia, tra conservazione e modernità.
I pedalatori con cui Montanelli ha di più solidarizzato sono però i gregari e gli oscuri pedalatori del plotone, al servizio dei capitani. Oppure addirittura gli "anarchici" come Filippo Scaramuzzi, un cittadino di San Giovanni Rotondo che nel 1948, durante la tappa arrivata a Foggia, partì da casa e pedalò per diversi chilometri al ritmo dei migliori, ignorando gli avvertimenti della giuria di uscire dal tracciato. O i fuggitivi di giornata che cercavano momenti di gloria. Spesso contrastati dagli allungamenti delle tappe imposte da ragioni "turistiche": "Chi ha suggerito agli organizzatori del Giro di far concludere questa tappa in modo da farla somigliare a una escursione Baedeker?", scriveva Indro da Fucecchio il 21 maggio 1947 dopo che la tappa conclusasi a Roma aveva visto Augusto Menon, un riottoso gregario all'attacco, ripreso sui Fori Imperiali.
L'anarco-conservatore Montanelli amava, in cuor suo, i pedalatori che riuscivano a sgusciare dagli ordini di scuderia. "Gran ventura per l'umanità è che qualche anarchico sopravviva ancora", scrisse lo stesso giorno invitando gli italiani a ribellarsi alla "dittatura dei capitani". "Italiani, siate ribelli! Siate ribelli sempre" scrisse Montanelli dalla sua Olivetti portatile Lettera 22 un anno dopo, in seguito a un'altra occasione di fuga riassorbita del gruppo, a monito della necessità di difendere il valore sportivo e individuale del Giro. Valori borghesi di cui si è sempre fatto portatore.
Ma anche, in un certo senso, la riconqusitata libertà del Paese. Cosa che non avrebbe cessato di proteggere nel restante mezzo secolo che lo vide principe del giornalismo italiano e fondatore della nostra testata.
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