Venezia - Il presidente del Venezuela, Hugo Chavez, è arrivato sul red carpet della 66^ Mostra del Cinema di Venezia salutato da bandiere e striscioni. Uno di questi riportava le parole "Bienvenido presidente" (Benvenuto presidente). C’erano anche bandierine gialle e rosse del Venezuela, una bandiera di Rifondazione comunista e una del presidio "No Dal Molin". Con un sottofondo di musica latino americana, una delegazione di ufficiali in alta uniforme, il presidente Chavez si è poi concesso ai flash dei fotografi e alle telecamere e ha salutato il pubblico lungo le transenne.
Elogi a Oliver Stone "E' un grande lavoratore Oliver Stone, un grande raccontatore di storie e sono molto felice di essere qui oggi e che sia stato fatto questo documentario", ha detto Chavez. Il presidente venezuelano si è rifermato a parlare con i cronisti dicendo: "Ho sempre amato l’Italia". Ad una domanda di un cronista estero su Israele ha risposto così: "Non amo Israele, amo il popolo israeliano. Ma non mi piace la politica del governo israeliano".
Regista entusiasta "Quest’uomo è un fenomeno. Un fenomeno più grande degli attacchi che gli dedicano i media americani. Certo in Venezuela ci sono ancora molti problemi ma ci sono stati anche tanti miglioramenti. Questo film è stata un’esperienza liberatoria". Oliver Stone parla così di Chavez e del film documentario South of the border, che presenta fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e che è frutto proprio del suo incontro con il presidente venezuelano e poi con altri sei presidenti sudamericani: il boliviano Evo Morales, il brasiliano Lula da Silva, l’argentina Cristina Kirchner e il suo consorte ed ex presidente Nestor Kirchner, il paraguayano Fernando Lugo, l’ecuadoregno Rafael Correa e il cubano Raul Castro.
Un film on the road "Un film on the road - racconta Stone - nato dall’intervista a Chavez del gennaio scorso, che abbiamo sentito l’esigenza di allargare agli altri Paesi del Sud America, ripercorrendo il sogno di Simon Bolivar di un continente unito. Che è un’aspirazione legittima generale e non di sinistra. Tutti questi Paesi sono in un momento di lotta: è sorta l’idea, il desiderio di stare tutti insieme e parlare con un’unica voce, perchè contro di loro c’è il gigante americano e grandi multinazionali". L’idea del film è nata nel dicembre 2008, dopo che Stone aveva partecipato a una missione in Colombia per cercare di liberare degli ostaggi. La missione non andò a buon fiine e subito fu mossa a Chavez l’accusa di avere rapporti con le Farc. "Un fatto assolutamente falso - commenta il regista statunitense - così, mentre rientravo negli Stati Uniti con Fernando Sulichin (poi produttore del film, ndr) lui mi ha proposto di su Hugo Chavez per far fronte agli attacchi della stampa verso il presidente venezuelano, che erano spesso stupidi e ridicoli".
Ahmadinejad nel mirino Il regista, che in passato ha diretto oltre a film come Platoon, JFK, Nixon e anche il documentario Looking for Fidel, è al lavoro da oltre due anni su un altro personaggio chiave dello scenario internazionale, il leader iraniano Ahmadinejad, incontrato da Chavez proprio sabato scorso. "I colloqui - racconta Stone - sono iniziati due anni e mezzo fa ma è un’altalena di sì e di no. Prima ci avevano detto che non era possibile intervistare Ahmadinejad, poi ci hanno detto sì ma io ero impegnato nelle riprese di W. Ci sono state una serie di incomprensioni ma noi restiamo interessati al progetto".
Ma ai giornalisti italiani che gli chiedono se abbia mai accarezzato l’idea di girare un film sul nostro Paese e sul premier Silvio Berlusconi, riponde: "No, non ne so abbastanza. Ci sono grandi registi in Italia, come Moretti o Sorrentino. È bene che lo facciano loro un film così".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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