Decine di persone sono rimaste ferite negli scontri avvenuti in una fabbrica a Kunshan, nell'est della Cina. Una cinquantina di operai della Kok, azienda taiwanese che produce componenti in plastica per automobili, sono rimasti feriti, cinque dei quali in modo grave, dopo l'intervento delle guardie di sicurezza che cercavano di impedire ai duemila dipendenti in sciopero di manifestare.
In Cina, nell'ultimo periodo, le condizioni di lavoro nelle aziende e i salari degli operai sono divenuti oggetto di dibattito e diverse fabbriche, per la maggior parte a capitale straniero, hanno conosciuto scioperi e manifestazioni. La spirale di suicidi al colosso Foxconn, quasi mezzo milione di dipendenti, ha acuito le polemiche e aperto uno spiraglio verso concessioni, pur minime, da parte delle aziende.
«La polizia ci ha picchiato senza risparmiarci (...), senza fare distinzioni fra uomini o donne», ha dichiarato un'operaia al South China Morning Post di Hong Kong, secondo il quale ci sono stati anche 30 arresti. Un portavoce dell'azienda ha riferito laconicamente alla France Presse che il lavoro è ripreso, mentre la polizia locale non ha fatto commenti.
Su internet è stata pubblicata una lista di 13 rivendicazioni degli operai della Kok: dalla denuncia di temperature troppo elevate e odori insopportabili all'interno della fabbrica, alla richiesta di indennizzi, fino a un meccanismo di adeguamento salariale.
Anche le fabbriche di assemblaggio della giapponese Honda sono state paralizzate da scioperi per oltre una settimana, nonostante aumenti salariali fino al 24%.
Secondo gli analisti il moltiplicarsi dei conflitti sociali è da attribuire alla ripresa: i lavoratori, cui viene chiesto di lavorare di più, non accettano più salari così bassi: «Negli ultimi anni i lavoratori sono più consapevoli dei loro diritti e più motivati a difenderli», secondo Goeff Crothall del China Labour Bulletin di Hong Kong.
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