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"Bad Boys: ride or die", intrattenimento fast food e senza pretese

Il quarto film del franchise è figlio degli Anni Novanta, dei cui action rispetta la tradizione e l'immaginario pop, tra esagerazioni pacchiane e adrenalina

"Bad Boys: ride or die", intrattenimento fast food e senza pretese
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Bad Boys: Ride or Die, il nuovo capitolo della saga con Will Smith e Martin Lawrence iniziata nel 1995, esce da noi dopo aver conquistato il botteghino statunitense. Nel primo weekend il film ha incassato oltreoceano molto più di quanto previsto e superato a livello globale i cento milioni di dollari, andando già a coprire i costi di produzione. Può darsi che un peso sul risultato lo abbia avuto il ritorno di Will Smith, estromesso da Hollywood dopo l’infausto schiaffo dato al presentatore degli Oscar nel 2022 (la stessa notte in cui si aggiudicò il premio come miglior attore).

Di sicuro l’action movie prodotto da Sony è cinematograficamente un prodotto che lascia il tempo che trova ma assolve a un compito: costituisce un rifugio per molta parte del pubblico, quella in cerca di un’evasione che sia una variante di quanto già sperimentato. Il film in questione si inserisce infatti appieno nella tradizione dei precedenti, conservandone immutata l’estetica anni Novanta, l’azione da brivido e la comicità scorretta.

A 4 anni dall’ultimo capitolo e 19 dal primo, al centro della scena ci sono sempre Mike Lowrey e Marcus Burnett (Will Smith e Martin Lawrence), poliziotti di Miami a dir poco sopra le righe. I due stavolta devono darsi alla fuga dopo che il loro defunto capitano di polizia viene ingiustamente accusato di una vita di crimini legati alla droga. Nel tentativo di riabilitarne il nome, i nostri si avvicinano alla scoperta della verità ma, in itinere, vengono incastrati a loro volta e si ritrovano con una taglia sulla testa, braccati su più fronti.

Questa in breve la sinossi, ma vale la pena aggiungere che nell’incipit Mike sta per convolare a nozze, suo figlio Armando si trova in carcere in quanto sicario e Marcus, colpito da infarto e “redivivo”, si convince di essere immortale.

Adil El Arbi e Bilall Fallah (indicati come Adil & Bilall) hanno diretto Bad Boys: Ride or Die da una sceneggiatura sgangherata scritta da Chris Bremner e Will Beall.

Siamo in pieno buddy cop movie; si sente l’eco dei vari Arma letale ma anche di Miami Vice, però qui l’imperativo è esagerare. Le forze di polizia non sempre limpide, i politici corrotti, il linguaggio scurrile, la violenza fisica, le sparatorie e le battute da guascone sono gli ingredienti base. A rinverdire la ricetta ci pensano aerei che precipitano, alligatori giganti, una rissa in penitenziario e altre trovate via via più eccessive e ipercinetiche.

I protagonisti sono un ossimoro, in quanto poliziotti che ignorano la legge, dal codice stradale in poi. Entrambi amabili pur essendo sguaiati smargiassi, sfoggiano una disponibilità economica incomprensibile ma che agevola la nascita di situazioni fuori dall’ordinario.

Bad Boys: Ride

or Die ha il pregio di non prendersi sul serio e di tenere ancora alto, a trent’anni dal primo film della saga, il concetto di amicizia maschile.

Un quinto episodio sembra a questo punto inevitabile.

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