“Elemental”, nuovo Disney-Pixar: buoni sentimenti e poca originalità

La logora formula “Romeo e Giulietta” viene resa gradevole da una bella riflessione sul valore della diversità sia nel sociale che in campo amoroso. Apprezzabile ma mai geniale

“Elemental”, nuovo Disney-Pixar: buoni sentimenti e poca originalità
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Elemental, il lungometraggio firmato Disney-Pixar appena sbarcato nelle sale cinematografiche, è intrattenimento per famiglie che, pur di qualità, non tocca mai il livello di pellicole ispirate come “Inside Out”.

Il film racconta di una città, Elemental City, nei cui quartieri abitano cittadini la cui essenza è aria, terra, acqua oppure fuoco. Tra questi ultimi c’è la famiglia di Ember, una giovane volitiva e responsabile ma con qualche problema di gestione della rabbia. I suoi genitori sono fuggiti dalla terra natia dopo aver perso tutto a seguito di una calamità naturale e hanno poi avviato in questa nuova comunità una fiammeria (vale a dire un negozio per gente-fuoco) che dopo tanti sacrifici è oramai prossima a essere ceduta proprio a Ember. Il padre, stanco e vecchio, istruisce da tutta la vita la figlia a essere degna di quell’eredità e la ragazza crede di desiderare la medesima cosa. Almeno fino a quando conosce un coetaneo acquifero, Wade, con cui si inizia a frequentare di nascosto. L’incontro cambierà la sua prospettiva sia sul presente sia sul futuro: Ember sfiderà le proprie convinzioni e le convenzioni del mondo in cui vive.

La genesi di “Elemental” è nobile e antica. La filosofia, sin dagli albori, ha associato agli elementi della natura una particolare personalità. Nei secoli quei costrutti teorici sono stati così interiorizzati dal sapere e linguaggio comune (dalla religione all’astrologia e così via) che ci pare normale che la protagonista femminile (fuoco) sia pronta a infiammarsi per un nonnulla e invece il suo amico (acqua) sia empatico al punto da struggersi in lacrime con la stessa facilità.

Avventura, umorismo e romanticismo vengono mischiati, in parti uguali, per creare una struttura accattivante da cui far emergere contenuti dal significato meno banale di quanto appaia in un primo momento.

Certo, ci sono concetti triti e ritriti come quello che “gli opposti si attraggono”, ma anche l’idea mai scontata che l’amore ingentilisca e possa farci esprimere un potenziale che non sapevamo di avere. Anche senza incontrare qualcuno che sappia regalarci l’arcobaleno (come avviene letteralmente nel film), le persone con cui entriamo in intimità emotiva possono farci da levatrice in senso socratico. In questo modo Ember capisce che la rabbia è spesso un grido dell’inconscio e che asservire i sogni personali a quelli delle persone verso le quali ci si sente in obbligo morale è garanzia di infelicità.

Incontrare il diverso ci aiuta a evolvere, ad abbracciare la propria e l’altrui natura, ad accettare cosa si può cambiare e cosa no.

Significativa la scena della “prima volta” a contatto fisico dei protagonisti: vissuta con le titubanze del caso, tra un “potresti evaporare” e un “potresti estinguermi”, racconta tutte le paure del lasciarsi andare al sentimento ma anche l’antidoto ad esse, ovvero un semplice “potremmo comunque provare”. L’amore del resto è entrare l’uno nel campo energetico dell’altro e mutare in questo modo la versione di partenza di se stessi (“ci siamo toccati e abbiamo alterato la nostra chimica”).

Attraverso il love affair al centro del racconto si esplora non tanto il peso delle disuguaglianze sociali all’interno di un rapporto romantico ma quello delle differenze caratteriali più profonde.

Tra le varie chiavi di lettura si potrebbe perfino azzardare un richiamo all’animus e anima di junghiana memoria.

Tra i temi importanti affrontati ci sono quello eterno di natura esistenziale relativo al trovare il proprio posto nel mondo ma anche altri, strettamente attuali, come l’immigrazione e l’inclusione.

Nonostante il ritmo venga fiaccato da momenti narrativi ridondanti, “Elemental” resta piacevole e creativo. Mai spettacolare, il film regala comunque alcune chicche esilaranti come l’onda allo stadio, un trauma infantile legato a una spugna e l’ambiguità del “cogliere le mele con qualcuno”.

La narrazione allegorica che vede i quattro elementi

antropomorfizzati è resa efficace grazie a colori brillanti e consolidata abilità tecnica.

Insomma le intenzioni alla base di questa commedia "multiculturale" sono ammirevoli e la messa in scena è mediamente appagante.

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