"Grazie ragazzi". Antonio Albanese in un film che sa toccare dentro

Una commedia tratta da una storia vera e incentrata sulla realtà del carcere, sulla grammatica dell’attore e sul potere salvifico della cultura

"Grazie ragazzi". Antonio Albanese in un film che sa toccare dentro

Grazie ragazzi, il nuovo film di Riccardo Milani che vede protagonista Antonio Albanese, è un adattamento del film francese Un Triomphe di Emmanuel Courcol, a sua volta tratto dalla storia vera di un attore svedese che mise in scena Beckett con un gruppo di detenuti.

Commedia dal messaggio dichiaratamente sociale, Grazie ragazzi aiuta a comprendere il potere trasformativo della cultura, capace di dare un rifugio, uno scopo e una speranza a chi le si accosti.

Al centro del racconto c’è Antonio (Albanese), attore fallito che non calca le scene da almeno tre anni e sbarca il lunario doppiando film porno. Un suo amico e collega (Fabrizio Bentivoglio), proprio per spronarlo a uscire dalle sabbie mobili professionali in cui è finito, gli propone di prestarsi a fare l’insegnante in un laboratorio teatrale all’interno di un istituto penitenziario. Inizialmente reticente, Antonio accetta l’incarico e si trova a gestire una piccola, rocambolesca compagnia composta da cinque detenuti (interpretati da Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi e Bogdan Iordachioiu). Aiutare questi ragazzi riaccende in lui la passione e la voglia di fare teatro, al punto da convincere la severa quanto illuminata direttrice del carcere (Sonia Bergamasco) a valicare le mura della prigione e mettere in scena la famosa commedia di Samuel Beckett Aspettando Godot su un vero palcoscenico teatrale.

Aspettando Godot non è una scelta casuale, visto che la condizione di chi è recluso dietro le sbarre è scandita proprio dall’attesa, intesa non solo come attesa della fine della pena ma come condizione esistenziale quotidiana: le giornate in carcere sono tutte uguali e ritmate solo dall’aspettare i pasti e l’ora d’aria.

Una cella incarna la dimensione sociale limitante e frustrante per antonomasia ma può essere uno spazio tutt’altro che sterile se speso per seminare la propria crescita. Attraverso lo studio di un testo complesso e impegnativo, i protagonisti di Grazie ragazzi trovano una voce, uno strumento di riscatto e soprattutto la spinta a credere ancora in loro stessi. Oltre a ciò, riscoprono il senso di appartenenza a una comunità che non sia solo quella carceraria. La cultura diventa per loro ancora di salvezza e via d’uscita dalle miserie, perché li aiuta a esprimere il proprio io più profondo e a fare il primo passo verso il cambiamento.

Certamente il teatro in carcere è già stato raccontato, basti pensare a “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, ma fa sempre bene ricordare come, soprattutto in un contesto sociale complicato come quello dei penitenziari, l’arte sia un supporto essenziale, una mano tesa, un bagliore di speranza in grado di alleviare la sofferenza.

Grazie ragazzi, dosando sapientemente battute e malinconia, sa mischiare in maniera toccante l'alto e il basso, la semplicità e l’intensità, toni dolci e toni tragici. Raccontando come la vita, attraverso il teatro, irrompa proprio nel luogo che la vede interrotta, il film sa creare empatia nei confronti dei cosiddetti ultimi.

Se Grazie ragazzi ha una pecca è nella sua durata dilatata in maniera eccessiva nella parte centrale, che appare sterile e monotona. Eppure è un rischio, quello di allentare il coinvolgimento dello spettatore, che pare preso in maniera volontaria: la piatta ripetitività con cui è messo in scena il tour fuori dal carcere genera sensazione di attesa senza scopo e senza fine, proprio come quella messa in scena sul palco al centro del grande schermo.

Da spettatori osserviamo come al ritorno da ogni recita i ragazzi non vedano minimamente cambiare il mondo reale, quello carcerario, il che genera in loro frustrazione e prepara il coup de théâtre finale.

In linea generale un film notevole, in grado di colpire al cuore restando orgogliosamente accessibile e appetibile al grande pubblico.

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