Non ci libereremo mai di loro. E per fortuna. «Loro» sono Dan Aykroyd e Eddy Murphy, protagonisti di una delle commedie più amate della storia del cinema: Una poltrona per due di John Landis. Il film è del 1983 ma da trent'anni è tradizione ci accompagna la sera della Vigilia su Italia 1; sempre con un ottimo share, peraltro. Non solo. Quest'anno il film torna nelle sale cinematografiche in versione restaurata in 4K per tre giorni, da oggi a mercoledì. Fantastico: siamo tutti felici.
O almeno. Quasi tutti. C'è infatti chi si è chiesto, facendo aleggiare lo spettro della censura, se ha ancora senso proiettare una pellicola «che tende a giustificare una tendenza palesemente retrograda», in cui si usa la parola «negro» (lo fanno i due ricchi soci annoiati, riferendosi al personaggio di Eddy Murphy), nelle ville c'è solo servitù afroamericana, Dan Aykroyd si trucca da nero (si chiama blackface) e Jamie Lee Curtis - una escort - offre un nudo gratuito e viene trattata come donna oggetto. Per Vanity Fair magazine che abbonda di pubblicità in cui il maschio bianco è pressoché sparito, sostituito da modelli di colore, in un curioso caso di esclusione razziale al contrario il film è razzista e sessista. Yaaaaawn... che noia.
Però, a pensarci, forse è vero. Già il titolo, Una poltrona per due, è poco inclusivo: significa che uno non avrà una poltrona. Meglio Due poltrone per uno, così non si fa torto a nessuno. Ma soprattutto ci chiediamo: applicando gli stessi criteri, quanti sono i film prodotti dopo il 2015, quando è cominciata ad alzarsi l'ondata woke, che possono dirsi esenti da accuse di razzismo o sessismo o patriarcato o violenza o di non essere abbastanza salutisti o ambientalisti?
Rischiamo non poter vedere più niente.
L'unica è mandare in
onda un remake di Una poltrona per due con tutti i ruoli interpretati da Elio Germano. Regia di Alice Rohrwacher. E la Curtis la sostituiamo con Alessandro Zan, e non se ne parla più. Sì, così va bene.E Buon Natale a tutti.
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