Spaceman, il nuovo film Netflix Original presentato in anteprima alla 74esima Berlinale appena conclusa, è un esempio di fantascienza esistenziale, vale a dire atta a scrutare un universo chiamato uomo. Un’opera che si presta a una molteplicità di letture, soprattutto filosofiche e psicanalitiche e che, a seconda dello spettatore, verrà percepita come una culla amniotica in cui ritrovarsi spesso anche a visione conclusa oppure come un pasticcio gentile, lento e trash.
Diretto da Johan Renck, già regista della serie Chernobyl, il film è ispirato al romanzo sci-fi del ceco Jaroslav Kalfař, Spaceman of Bohemia, edito in Italia come “Il cosmonauta”.
Protagonista di questa esplorazione delle dinamiche emotive di un essere umano è Adam Sandler, un attore divenuto celebre per ruoli a dir poco leggeri ma da tempo convertitosi anche a quelli drammatici.
Sandler interpreta Jakub Procházka, un cosmonauta cecoslovacco che da 189 giorni naviga nello spazio diretto verso una misteriosa nube alla periferia di Giove. La missione in solitaria prevede che l’uomo possa sentirsi comunque spesso con la moglie Lenka (Carey Mulligan). Il giorno in cui la donna invia dalla Terra un messaggio con il quale intende lasciare il marito, la comunicazione viene censurata da chi supervisiona la missione (Isabella Rossellini). Preda dell’insonnia e dell’inquietudine e senza più poter parlare con l'amata, Jakub si trova in balia di un progressivo cedimento psicofisico. Finché non compare una strana creatura, un ragno gigantesco che diventa una sorta di amico, terapeuta e confidente. Attraverso il dialogo con lui Jakub passa in rassegna ricordi, errori e promesse infrante; capisce così di aver creato una distanza siderale tra lui e gli altri già molto prima di partire. Fare i conti con se stesso e con le azioni passate sarà per lui la chiave per una comprensione che darà un senso al proprio vissuto.
Spaceman consiste nell'auto-introspezione di un individuo sospeso nel nulla e in crisi emotiva come ce ne sono tanti anche alle nostre latitudini e longitudini, (“disorientati, impauriti, nell’oscurità a tenere duro” si dirà nel film).
Quel che può destare resistenze è che il Virgilio di questo viaggio abbia le sembianze di un pupazzone aracnoide che sembra uscito da un siparietto comico ma parla in modo zen di argomenti importantissimi. Non tutti riusciranno a lasciarsi rapire da un film che si fonda su elementi tanto stranianti e singolari.
Tra flashback onirici e dal surrealismo poetico, domande emblematiche e saggezza millenaria, “Spaceman” solletica l’intelligenza emotiva dello spettatore: dapprima pone una cupa riflessione sull’isolamento, fisico ed emotivo, di una persona, poi racconta le difficoltà dell’amore e della vita, infine rivela la necessità di confronto con l’altro per dare un senso a tutto.
Il racconto non porta solo alle soglie del creato ma a quelle del fine vita, ipotizzando che in entrambi i casi lo sguardo sia orientato verso casa.
Derivativo in maniera consapevole di molte altre pellicole di livello superiore come "Arrival" e "Interstellar", “Spaceman” è comunque pieno di particolari da non dare per scontati e dalla funzione simbolica.
Lo psicologo intergalattico al centro del film, ad un tempo socratico e
kafkiano, ponendo giusti quesiti e illuminate conclusioni mostra alcune verità fondamentali. Dategli e datevi una possibilità; comunque vada avrete una cura per l'aracnofobia.Su Netflix dal primo di Marzo.
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