Talk to Me, l’horror d’esordio dei fratelli australiani Danny e Michael Philippou, è davvero un ottimo esempio di come ravvivare vecchi schemi di genere con idee nuove.
Il film è una specie di racconto di formazione, un teen movie dai tratti drammatici che sa sapientemente mischiare urla e sangue a momenti di calma deputati all’emergere di sfumature psicologiche.
Due anni dopo la morte prematura di sua madre, la diciassettenne Mia (la carismatica Sophie Wilde) si è allontanata dal padre; preferisce frequentare la casa della migliore amica Jade (Alexandra Jensen), che vive con la madre, Sue (Miranda Otto), e il fratellino Riley (Joe Bird).
La ragazza resta affascinata da un video girato dai suoi compagni di scuola e diventato virale, in cui questi ultimi usano un'inquietante mano mozzata ricoperta di ceramica per evocare gli spiriti. Appena possibile decide di partecipare a una serata in cui compiere il rito con loro; il che significa afferrare l’arto demoniaco e pronunciare le parole "Parlami" e "Ti lascio entrare". Mia rimane elettrizzata dall’essere posseduta dall’anima di un trapassato. Seppure per meno di 90 secondi, giacché questa durata è quella deputata a restare “in sicurezza”, non vede l’ora di ripetere l’esperienza. Quando però fa da spettatrice alla possessione del piccolo Riley, si convince che il ragazzino abbia dentro di sé la sua defunta madre; lascia quindi che si vada temporalmente oltre la soglia raccomandata. Un errore fatale che scatenerà terrificanti forze naturali.
La messa in scena in Talk to me è estremamente efficace, ossia terrorizzante, perché in qualche modo plausibile. Le sequenze di possessione sono il cuore del film e seguono più o meno lo stesso iter: il corpo legato di chi si allaccia all’altra dimensione scatta con la sedia all'indietro; le pupille si dilatano all’inverosimile fino a rendere nera l’intera orbita oculare e poi si avvia una roulette russa soprannaturale. Non c’è alcun controllo su chi si presenterà dall’aldilà; ci si affida al destino senza preoccuparsi delle inevitabili conseguenze. Ogni volta la reazione può essere diversa. Prestare il proprio corpo ad essere posseduto da uno spirito può comportare di tremare, ma anche di sentirsi soffocare fino a raggiungere quasi la morte per asfissia.
Chi è intorno partecipa da spettatore attivo, filmando i coetanei in quelle condizioni, ridendo e poi magari condividendo tutto sui social.
In questo Talk to me è davvero un film sia universale che contemporaneo. Da un lato infatti mostra perfettamente il bisogno febbrile e giovanile di far festa, il trovare inebriante e divertente tutto ciò che è estremo, in poche parole l’essenza stessa dell’essere adolescenti. Dall’altro immortala l’abitudine odierna che hanno i ragazzi di filmare e spettacolarizzare l’illecito, spesso cercando il brivido o immortalando persone in stato di incoscienza.
Talk to me racconta come questo tipo di comportamenti e certe dinamiche sociali servano a silenziare tristezza, vuoto e sensi di colpa, portando magari lontani dal qui e ora.
Siamo insomma in un film il cui terrore non risiede tanto nei momenti gore, negli effetti vecchia scuola o nel decisivo sound design, quanto nella riflessione morale che suscita: esiste una volontà di
essere spossessati da sé, ora per silenziare un dolore, ora per cercare stimoli sempre nuovi. Sulla corsa all’inetto superamento dei confini, oggi tanto frequente, Talk to me è una visione esemplare.
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