Antonio Armano
da Mosca
Aleksandr Diacenko e una équipe di archeologi di Belgorod hanno trovato quella che viene già orgogliosamente definita la «Troia russa». Si tratta di una città sepolta, nel distretto di Belgorod, tra un affluente del Don, il Severski-Donets, e il confine con l'Ucraina. Le prime notizie sulla leggendaria città risalgono al XII secolo ed è conosciuta come Harada. Gli scienziati russi si sono mossi seguendo le tracce di una antica mappa. La realizzò Abu Abdallah Muhammad al-Idrisi, cartografo marocchino che visse tra il 1115 e il 1165 e operò alla corte di Ruggero II di Sicilia. Una circostanza che ha reso ancora più spettacolare e romantica la scoperta.
A testimonianza del fondamentale ruolo di al-Idrisi nel ritrovamento, permane il mistero sul nome russo del sito archeologico. Per ora, in attesa di ulteriori scavi e ricerche, si conosce solo quello arabo, Harada appunto. E non è certo l'unico aspetto enigmatico della vicenda. «Sulla città esistevano una serie di memorie popolari dal sapore di leggenda» ha spiegato Diacenko al quotidiano Izvestia, «ma prima che si pensasse di consultare le carte di al-Idrisi, si riteneva che fosse solo un avamposto militare». Una sorta di fortezza Bastiani sepolta dalla terra del tempo e sotto le suole tartare dell'Orda d'Oro.
Da quanto emerge dal sottosuolo, Harada era un centro molto attivo negli scambi e sviluppato commercialmente, forse il più importante di una regione-crocevia tra il Mar Baltico e il Mar Nero, l'Europa Orientale e l'Asia. Occupava una zona di circa otto ettari, con attorno alcuni villaggi satellite. Non sappiamo se al-Idrisi venne personalmente in quella che allora si chiamava Rus' di Kiev, nella culla del futuro impero russo che si sposterà più a Est sotto la minaccia tartara. Oppure si affidò, per la compilazione cartografica, a corrispondenti come spesso accadeva a questo studioso che tracciò un vero e proprio Atlante del mondo. Quel che sappiamo con certezza è che al-Idrisi viaggiò parecchio.
Il luogo di nascita di al-Idrisi, Ceuta, attualmente avamposto spagnolo in Marocco, ne favorì il passaggio alla corte iberica dove si formò prima di passare al servizio di Ruggero II. Oggi Ceuta è nota come trampolino di frontiera dell'immigrazione clandestina verso l'Europa e il suo paesaggio è dominato dai cavalli di Frisia. Oltre che ai rapporti tra Vecchio Continente e Maghreb, la vicenda di Harada fa pensare anche allo scenario, piuttosto vicino geograficamente, del Caucaso, dove si combatte la guerra tra russi e ceceni, tra Ortodossia e Islam. Ma mettendo da parte queste suggestioni geopolitiche, l'aspetto storiografico importante del ritrovamento di Diacenko e compagni riguarda la valutazione di un periodo storico che si riteneva, in questa regione, dominato da invasioni e guerre intestine: un momento di assoluta decadenza rispetto agli anni felici in cui i russi fondarono Kiev e, sotto il principe Vladimir, si convertirono al cristianesimo abbandonando il paganesimo slavo. Ma a Harada sono stati rinvenuti oggetti di lontane regioni, manufatti pregiati, vasellame polacco e gioielli bizantini, persino una sorta di penna di ferro. «Anche in un'epoca di grandi divisioni - spiega Diacenko - città di periferia come questa avevano un interscambio fiorente e una vita sviluppata, incompatibile con uno stato di guerra permanente».
Il giornalista di Izvestia che ha diffuso la notizia, Viktor Filippov, in un impeto di tipica nostalgia panslavista, nota come ai tempi di Harada le genti che popolavano queste zone non si considerassero russe, ucraine o bielorusse. Ma semplicemente «slavi d'Oriente».
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