Nell'era della corsa alla sostenibilità, il tema dello sviluppo umano integrale può essere la bussola per navigare nella complessità. Ne è convinto Stefano Zamagni, professore ordinario di Economia Politica all'Università di Bologna e Adjunct Professor of International Political Economy alla Johns Hopkins University. Nominato il 27 marzo 2019 da Papa Francesco Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, Zamagni è uno studioso attento del tema dell'economia civile e dell'etica applicata allo sviluppo sociale. Con lui ilGiornale.it discute dei temi strutturali del rapporto tra etica e economia.
Professor Zamagni, il tema dell’etica legata allo sviluppo economico è ultimamente sempre più discusso. Come si mettono in connessione i due campi?
“Innanzitutto, farei una premessa. Il tema dell’etica ai giorni nostri ha assunto nuovamente una centrale rilevanza. Ma il tema fondamentale è chiedersi: quale etica? In Italia spesso non si approfondisce il fatto che l’etica è un concetto che va aggettivizzato. Abbiamo di fronte a noi tre tipi di etica: quella utilitaristica, quella deontologica e quella delle virtù. Esse fanno riferimento a tre scenari storici e contesti diffenenti”.
In che modo esse si differenziano?
“L’etica utilitaristica fa riferimento al fatto che la priorità in campo sociale è data al soddisfacimento dell’utilità individuale. È un frutto diretto del ragionamento politico elaborato nel mondo anglosassone. Il suo padre è Jeremy Bentham, che nel 1789 pubblicò l’opera intitolata Introduzione ai princìpi della morale e della legislazione. L’etica deontologica è il portato della cultura tedesca: nella sua concezione, le cose si fanno per dovere. Il suo padre è Immanuel Kant. Infine, l’etica delle virtù affonda le radici nel pensiero classico, ad Aristotele, e si basa sul concetto che qualcosa è “etico” se genera felicità”.
Come impatta questa differenza in campo sociale?
“L’etica per antonomasia a cui tutti si riferiscono oggigiorno nel discorso comune è quella utilitaristica. Comprensibile, visto che dall’Ottocento il Regno Unito prima e gli Stati Uniti poi sono stati i Paesi di riferimento dell’ordine internazionale. Il concetto di etica, in Bentham, si è sviluppata subordinando completamente il suo concetto a quello dell’utilità individuale. Un’etica, in quest’ottica, esclude l’altra. Se per utilità, ad esempio, intendiamo la massimizzazione di profitti e guadagni potremo ritenere etico anche qualcosa di non accettabile in altri sistemi di valore: lo sfruttamento dell’ambiente è uno dei campi in cui tale divergenza si nota”.
Questo crea un tema importante di riflessione quando si esce dall’idea che esista uno e un solo modello di riferimento per economia e società, non trova?
“Sì. Quando parliamo di etica ed economia, lo ribadisco, la prima domanda è: quale etica si ha come riferimento? E questo si applica a ogni tipo di riflessione sociale. Pensiamo all’intelligenza artificiale. Scienziati e filosofi discutono di etica dell’Ia, ma chiaramente una riflessione etica con sistemi di valori differenti cambierà il giudizio su cosa riteniamo buono e cosa no in riferimento alle nuove macchine. Ma nel discorso pubblico ci si sta accorgendo che ragionare solo in virtù dell’etica utilitaristica può creare delle problematiche…”
Che spazio c’è per le altre letture etiche dell’economia e della società?
“L’etica deontologica è nettamente in declino. Pensiamo al ruolo avuto dal mito del dovere a ogni costo nell’ideologia nazista. Il processo Eichmann, in questo caso, è indicativo, nel farci percepire a che punto possa spingere una percezione distorta del concetto di “dovere”. L’etica delle virtù, invece, guadagna terreno. Io sono per la libertà: ognuno è libero di scegliersi l’etica che ritiene più confacente ai suoi progetti di vita. Ma oggi notiamo che il tema dell’etica delle virtù, di una concezione dell’economia, dell’umano e della società che vada oltre i dati materiali, sta prendendo piede anche, se non soprattutto, nei Paesi individualisti e utilitaristi per eccellenza. Con gli Usa in testa.
Quanto influisce in tal senso la crisi sociale degli Usa?
“Molto: gli Usa sono un Paese che sta vivendo un disastro sociale interno, tra disuguaglianze, faglie di vario tipo e spaccature politico-culturali. Valga in tal senso il nome, graffiante, del libro più recente del Nobel per l’Economia Angus Deaton: Morti per Disperazione. Un saggio che mostra la profonda crisi sociale in America, nazione al tempo stesso risultante la più ricca al mondo e la più disperata. La nazione dell’Occidente dove più grandi sono i problemi legati agli omicidi, ai suicidi, all’abuso di droga, alle overdosi mortali, all’esclusione sociale. Ci si accorge che utilità non sempre significa felicità. Anzi, spesso i due concetti sono in contraddizione. E il problema riguarda tutte le nazioni più avanzate. Poche settimane fa David Brooks del New York Times in un articolo ha denunciato “l’onda lunga della tristezza” che si sta allungando sul mondo sviluppato”.
In quest’ottica, anche le strategie di crescita orientate alla sostenibilità scontano la subordinazione al paradigma utilitarista?
“Spesso il sistema sconta quella che potremmo definire una “gabbia etica”. A mio avviso nel mondo di oggi il problema è legato al fatto che la consapevolezza dei problemi esiste. Serve un processo culturale per educare le persone a pensare alla diversità dei modelli, alla pluralità di scelta”.
In che modo, a suo avviso, questo può essere possibile?
“Alle persone deve essere concessa l’opportunità di tenere assieme tutto: rendere l’utilità strumentale alla felicità, in un quadro di armonia sociale. Questo riguarda anche le politiche pubbliche che orientano lo sviluppo sostenibile. I singoli investimenti, le singole tasse o le misure ad hoc servono a poco se non si pensa a un concetto di cambio di paradigma. In un concetto: l’accumulazione non deve essere presentato come il fine dell’esistenza”.
In un certo senso, dunque, la via è quella dello sviluppo umano integrale teorizzato da Papa Paolo VI?
“Sì, il concetto di sviluppo umano integrale abbraccia tutte le prospettive sociali che servono per orientare una visione etica dell’economia. I concetti espressi da Paolo VI nell’enciclica Popolorum Progressio sono di ampio respiro, tanto che ai tempi Montini non fu capito. Soprattutto negli Usa, studiosi ed economisti si aspettavano un Papa intento a una critica durissima del sistema sovietico in difesa del modello occidentale. Ma Paolo VI denunciò il concetto chiave di puntare sulla crescita dimenticando lo sviluppo. La crescita, di per sé, è un fatto meccanico: anche gli animali, come i sistemi economici, crescono fisiologicamente. Lo sviluppo, e qua parla l’etimologia latina, impone l’idea di “togliere i viluppi”, togliere i vincoli. Quali vincoli? Quelli della dipendenza, dello sfruttamento, del bisogno. E ovviamente anche quelli di un atteggiamento estrattivo verso il nostro pianeta”.
La crescita a ogni costo, ieri come oggi, come strada che non necessariamente deve essere seguita fino in fondo, nel sistema pubblico e in quello economico-finanziario…
“A un certo punto, quando il Pil va su, la qualità della vita scende. Lo sviluppo umano è “integrale” quando mette in armonia sia la crescita reale che lo sviluppo dell’uomo nella sua dimensione sociale e, non trascuriamola, spirituale. Sul piano sociale la sostenibilità dello sviluppo è tale quando valorizza i corpi intermedi, le relazioni interpersonali, la famiglia, non a caso messi sotto attacco nel modello economico vigente.
E se la dimensione umana è negata, quella spirituale è umiliata, si perde il concetto di un fine dell’azione umana. La lezione di Paolo VI, in quest’ottica, parla al nostro tempo. Montini, come molti pensatori profetici prima di lui, non fu capito in vita. Ora il problema è sotto gli occhi di tutti. Serve evolvere le mentalità”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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