Cittadini

"Pressione fiscale al 43,8%, è record storico": l'allarme che cambia tutto

Per la Cgia la crescita della pressione fiscale in Italia deriva dall'interazione di tre aspetti congiunturali distinti. Allarme anche per la "burocrazia fiscale"

"Pressione fiscale al 43,8%, è record storico": l'allarme che cambia tutto

Brutte notizie per le tasche degli italiani. La pressione fiscale nel nostro Paese ha raggiunto il 43,8%. Un vero e proprio record. Tale livello, infatti, non è mai stato toccato in precedenza. Il dato poco confortante è emerso da una ricerca effettuata dall'Ufficio studi della Cgia.

Eppure tale record storico non è legato ad un aumento della tassazione su famiglie e imprese bensì dall'interazione di tre aspetti congiunturali distinti. Innanzitutto vi è il forte aumento dell’inflazione che, a sua volta, ha fatto salire le imposte indirette. Il secondo è legato, paradossalmente, al miglioramento economico e occupazionale avvenuto nella prima parte dell'anno. Tale progresso ha, però, avuto un effetto negativo: la crescita delle imposte dirette. Il terzo fattore, infine, riguarda l'introduzione nel biennio 2020-2021 di numerose proroghe e sospensioni dei versamenti tributari. Agevolazioni che non hanno riguardato il 2022 perché cancellate.

Insomma una tempesta perfetta che colpisce le tasche degli italiani. Ma a concorrere al ben poco lusinghiero record vi è anche un altro aspetto: quello dell’assegno unico, misura che ha sostituito le vecchie detrazioni per i figli a carico, che ha riflessi sul calcolo della pressione fiscale.

La Cgia evidenzia che le detrazioni riducevano l'Irpef da versare al fisco mentre ora non è più così. La loro abolizione ha fatto crescere il gettito fiscale complessivo annuo di circa 8,2 miliardi di euro. Una cifra sostanziosa. Per di più si sottolinea che le risorse necessarie per erogare l'assegno unico vengono contabilizzate nel bilancio dello Stato come uscite.

La stessa Cgia ha anche spiegato che in termini assoluti, in base agli ultimi dati del Mef relativi al periodo gennaio-settembre di quest’anno, le entrate erariali sono cresciute di 37 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo del 2021. Di questi, 5,5 miliardi sono di Irpef, 8,9 di Ires e 17,8 di Iva.

Ma vi è anche un altro aspetto da non trascurare. Nel documento diffuso dalla Cgia si ricorda che con l'introduzione del bonus Renzi, dal 2014 la pressione fiscale nel nostro Paese ha una doppia lettura: una al netto degli sgravi fiscali, che quest’anno ha raggiunto il 41,9% del Pil, e quella ufficiale che, come dicevamo in precedenza, ha raggiunto il record del 43,8%. In realtà c’è anche una terza versione: quella reale.

In questo caso il dato si ottiene togliendo dal Pil nazionale la quota legata all'economia non osservata che, per ovvi motivi, non "produce" gettito. E questa, per certi versi, è anche più negativa rispetto al record sopra citato. Va ricordato, infatti, che la pressione fiscale è pari all'incidenza percentuale del rapporto tra il gettito erariale e il Pil. Quindi se quest'ultimo termine cala a causa della sottrazione della quota riconducibile al sommerso, il risultato finale aumenta. Per l'anno in corso la pressione fiscale reale per i contribuenti fedeli al fisco sfiora la ragguardevole soglia del 50%.

Se si vuole fare una comparazione della pressione fiscale tra i Paesi della Ue allora, per ragioni di omogeneità, bisogna fare una puntualizzazione. In questo caso, infatti, è presa in considerazione la pressione fiscale ufficiale. In base ai dati riferiti allo scorso anno, l’Italia è al quinto posto.

"Oltre ad avere un peso fiscale tra i più elevati d'Europa, l'Italia è il Paese dove pagare le tasse è anche più difficile, in particolar modo per le aziende. La burocrazia fiscale, infatti, ha dimensioni impressionanti", ha spiegato la Cgia aggiungendo che mediamente "la qualità e la quantità dei servizi resi ai cittadini e alle imprese è molto inferiore alla media europea".

La questione della burocrazia fiscale

La burocrazia fiscale è un altro delicato tema che affligge gli imprenditori del Belpaese. Secondo le ultime statistiche elaborate dalla Banca Mondiale (Doing Business 2020), gli imprenditori italiani impiegano ben 30 giorni all'anno, pari a 238 ore, per compiere tutte le procedure come la raccolta delle informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute, per completare le dichiarazioni dei redditi e per presentarle all'Amministrazione finanziaria e per effettuare il pagamento on line o presso le autorità preposte. Stesso discorso vale per i colleghi portoghesi.

Se la passano decisamente meglio in Francia e Spagna. Nel Paese transalpino sono necessari solo 17 giorni (139 ore) per espletare le incombenze burocratiche derivanti dal pagamento delle tasse. In Spagna di giorni ne occorrono 18 (143 ore). La Germania, invece, si attesta a 27 giorni (218 ore).

Il dato italiano è lontanissimo dalla media dell'area Euro che è di 18 giorni (147 ore).

Commenti