Il reddito pro capite degli italiani è più basso rispetto al 1995. Lo sottolineano le stime di Confcommercio e del Censis che segnalano come la serie di crisi e recessioni subite dall'Italia abbia colpito duramente le prospettive economiche dei nostri connazionali.
L'impatto delle crisi sul reddito degli italiani
La recessione del 2007-2008, la crisi europea dei debiti del 2010-2012, il lungo decennio di stagnazione e infine lo shock della pandemia e la recenssione da Covid del 2020 hanno danneggiato le prospettive economiche del Paese.
L'Italia sta arrivando nel 2023 a colmare il gap con il 2019, anno pre-pandemico, in termini di reddito pro-capite. Ma resta ancora sotto i livelli del 2007 e addirittura del 1995. Nel 1995 il reddito pro capite medio degli italiani, attualizzato al costo della vita, era di 150 euro più alto che a fine 2022.
Secondo il direttore del Centro Studi di Confcommercio, Mariano Bella, "i trent'anni di bassa crescita si sentono nelle nostre tasche e nei temi di disagio sociale e crescita della povertà assoluta che ogni giorno dibattiamo". Le recessioni sono state la base per i trend discendenti del reddito. L'ordinaria amministrazione è quella di un Paese a crescita economica, demografica e della produttività stagnante su tutti i fronti. Momenti di stasi uniti a shock recessivi creano le condizioni per la discesa del reddito.
Il risparmio tampona il calo dei consumi
In questi trent'anni il cuscinetto che ha protetto gli italiani è stato il risparmio accumulato, spesso garantito dal patto intergenerazionale e dal patrimonio consolidato delle generazioni del boom economico. Ma la "paghetta" dei nonni di ieri e di oggi non basta più come tampone. Confcommercio e Censis hanno infatti mostrato che la propensione al consumo e alla spesa è cresciuta più rapidamente dal 2019 e non è ai minimi trentennali, ma resta sotto i livelli pre-crisi. Al 2022, gli italiani spendevano ogni anno in consumi 800 euro a testa in meno in media rispetto al 2007. Segno che da allora in avanti una parte crescente dei risparmi è andata in beni di prima necessità, servizi essenziali, bollette e spese inderogabili.
Questo anche contando il fatto che sui consumi dal 2020 a oggi è arrivato l'effetto-traino degli aiuti pubblici. Casse integrazioni, bonus di varia natura, tagli a accise e contributi hanno sicuramente creato, con ingenti fondi pubblici, stimati da Anpit in decine di miliardi di euro di spesa, un effetto sostituzione. Ma non aiutato sulla tenuta dei redditi.
Meno reddito, ma più fiducia: gli italiani guardano a un futuro meno nero
Non tutto il male, però, vien per nuocere. Il trend fotografato dai dati va di pari passo con un recupero della fiducia. Confcommercio e Censis mostrano che pur in presenza di redditi inferiori e consumi non ancora recuperati i dati sulla fiducia delle imprese nella ripresa e nel superamento dell'inflazione, prevista in calo del 6% nei prossimi mesi, offrono segnali positivi. E al contempo si analizza con attenzione il nodo del boom del numero di occupati, ai massimi storici nonostante le difficoltà. Le famiglie si sentono desiderose di "ricostituire un adeguato stock di risparmio per fare fronte al contesto ancora caratterizzato dall'incertezza". Dunque, non più un tirare la cinghia, come negli anni scorsi, ma un programmare in forma più sistematica.
Confcommercio e Censis perorano, in quest'ottica, un'approfondita politica dei redditi e del sostegno al ceto medio per difendere le prospettive del Paese.
Proprio in questa direzione sembra andare la scelta del governo Meloni di tagliare il cuneo fiscale ai lavoratori e offrire alle buste paga prospettive di crescita non indifferenti. Capaci per molti di chiudere un gap trentennale legato alla stagnazione del Paese e alle crisi che si sono succedute. Dopo le quali però, fortunatamente, gli italiani vogliono finalmente guardar eoltre.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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