Sono sempre di più le donne che fanno il proprio ingresso nel mondo della libera professione, con punte massime nella categoria degli psicologi (dell’84%) e minime tra i periti industriali (2%). La notizia di per sé sarebbe da considerarsi nel complesso positiva, se non fosse che a questo incremento non corrispondono ancora guadagni in linea con quelli dei colleghi uomini. Considerando infatti, la fascia anagrafica fra i 50 ed i 60 anni, le professioniste si attestano con i loro guadagni intorno ai 32.000 euro, mentre gli uomini toccano quasi i 54.800 euro.
Altra voce che incide in maniera rilevante sulla decisione e l’ingresso nel mercato, l’investimento di risorse, anche semplicemente quelle da impiegare nell’apertura di uno studio o di un ufficio, specie nell’ambito tecnico, dove i costi per i commercialisti possono aggirarsi tra i 20.000 e i 50.000 euro, mentre ingegneri e architetti arrivano a spenderne anche più di 50.000. E ciò, si badi, senza distinzione di sesso.
Questi alcuni dei dati emersi dal focus “Donne Professione” elaborato dal Centro studi di Adepp (Associazione degli enti previdenziali privati) e presentato a Roma. Oltre a sottolineare quanto già più volte denunciato, la ricerca evidenzia un aspetto del problema che ha “radici antiche”, legate anche al territorio e al contesto sociale in cui opera la libera professionista.
Professioni sempre più “rosa”, ma le differenze restano
Lo studio conferma quindi una sempre maggiore presenza femminile nella compagine di associati alle casse pensionistiche, come l’Enpam (che riunisce medici e dentisti), la Cassa forense (che riguarda gli avvocati) e l’Inpgi (rivolta ai giornalisti della Gestione separata, distinta dai dipendenti, confluiti in Inps), delineando come il divario fra gli associati di genere maschile e femminile si vada assottigliando in particolare nella Cdc (la previdenza dei dottori commercialisti) e nella Cnpr (cassa dei ragionieri), dove le iscritte sono pari rispettivamente al 33% e al 31%, mentre scende al 29% per Inarcassa (ente previdenziale di architetti e ingegneri). La maggioranza delle professioniste, il 52%, si registra fra le biologhe (che versano i contributi all’Enpab), le infermiere (nel bacino dell’Enpapi) e fra i medici veterinari, che aderiscono all’Enpav.
Dal dossier si evince anche come il reddito delle donne dai 30 anni in giù sia circa il 20% inferiore rispetto a quello degli uomini: per questi ultimi, infatti, la media delle entrate è di 15.129 euro, mentre per le colleghe è di 12.102.
Divario di genere e necessità di sostegno
Una situazione, quella fotografata dallo studio, che evidenzia come la questione del divario di genere, nel mondo del lavoro in generale e in quello delle professioni in particolare, tragga motivazioni legate anche al territorio (il nord offre più opportunità rispetto a chi vive al sud, sia in termini di reddito che di infrastrutture) e al contesto sociale in cui operano le libere professioniste. “Questa indagine – sottolinea la vicepresidente di Adepp e presidente Enpab ,Tiziana Stallone – ha scardinato alcune idee preconcette sul gap reddituale di genere, mettendo in evidenza le reali esigenze delle donne”. Andando a intervistare direttamente le libere professioniste, infatti, a colpire non è il tema della discriminazione: le donne non si sentono discriminate, ma denunciano, prosegue Stallone, “la mancanza di un sostegno infrastrutturale per permettere alle professioniste di affrontare situazioni oggettive, quali la genitorialità o la cura dei propri genitori”.
Le ragioni del permanere di questo gap di genere vengono dunque da lontano e risiedono principalmente nel fatto che le donne, spesso, devono sostenere due ruoli. Sono loro infatti che, col passare del tempo, continuano ad occuparsi della cura del nucleo familiare, dei figli prima, dei genitori anziani poi, elemento che inevitabilmente incide sulle ore lavorate, con conseguenze dirette sia sui guadagni, sia sulla congruità della pensione.
“Le professioniste dedicano meno ore all’attività professionale: a fronte del 59% degli uomini che dedicano più di 8 ore al giorno, le donne si fermano al 40%, questo perché da una parte devono dedicare molte più ore alla cura dei figli e dei familiari non autosufficienti e dall’altra non sempre possono usufruire di infrastrutture sociali adeguate”, spiega la presidente dell’Istituto di previdenza dei giornalisti, Marina Macelloni, che aggiunge: “anche a causa dell’invecchiamento progressivo della popolazione vengono a mancare gli aiuti attualmente offerti dalle famiglie di origine”.
Risorse da valorizzare per il rilancio del Paese
“Tra le finalità di questa indagine – ha aggiunto la presidente di Adepp, Stallone – vi è la volontà di individuare un’evoluzione futura del nostro welfare”, e ciò interrogandosi su quanto le nuove tecnologie, (come ad esempio infrastrutture digitali per svolgere la professione online), possano essere d’aiuto, così come il pensare ad un modo diverso di svolgere la professione, in forma aggregata, per dare vita a un’alleanza tra professionisti.
Per il Presidente di Adepp ed Enpam, Alberto Oliveti sono tre le parole chiave da cui ripartire: Focus, Donne, Professione.
“In esse c’è già una sintesi importante”, per Oliveti, che conclude: “Credo che la componente femminile nel lavoro sia la nostra chance di rilancio. Per il nostro Paese e per la nostra società”. Una chance da giocare insieme al concetto di flessibilità, che “non è soltanto una questione soggettiva, ma ambientale, sociale, di contesto”.
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