nostro inviato a Bruxelles
L’Italia continua a battere il tasto già toccato all’inizio della scorsa settimana da Franco Frattini: d’accordo sugli obiettivi di fondo del pacchetto per frenare il cambiamento climatico, ma qual è la «valutazione d’impatto» sul versante economico? La strategia è chiara. E domani a Lussemburgo, nella programmata riunione dei ministri dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo - forte dei dati di spesa che, assicura lei, provengono proprio da Bruxelles - torna a chiedere chiarezza al commissario greco Dimas. Facendo seguire alla richiesta un voluminoso dossier in cui si fa presente come per una corretta analisi tra costi e benefici ci vorrà almeno un anno, forse qualcosa in più.
Non è un invito tout court a rinviare il varo del pacchetto, anche se Ronchi, non esclude che, se tirati per i capelli, potremmo far deragliare il convoglio («Spero che alla fine il veto non sia necessario perché far saltare tutto sarebbe un errore, ma al prossimo Consiglio europeo di dicembre, in caso di necessità, siamo pronti a bloccare tutto» ha rilevato il ministro per le Politiche europee) quanto una richiesta che tende ad un approfondimento per i Paesi con realtà manifatturiere che avrebbero spese molto maggiori di altri, non impedendo invece un via libera formale alla concretizzazione del pacchetto. Così come vuole la commissione.
Si tratterebbe infatti di varare il provvedimento nel consiglio europeo, ma con una «clausola di revisione» che possa prevedere il riaggiustamento delle misure da adottare in relazione proprio a quella analisi dei costi da effettuare da qui ai 12-15 mesi necessari per un risultato credibile.
Più in particolare, secondo quanto potrebbe proporre la Prestigiacomo per bypassare il no italiano e il niet di 8 paesi dell’ex-est europeo, si potrebbe dare il via all’analisi del quadro di riferimento (che a quel punto terrà conto anche dell’andamento della crisi finanziaria) e già nel 2009 predisporre i primi dati di riferimento e studiare eventuali norme di revisione, anche alla luce di quello che sarà l’atteggiamento di Usa, Cina, India sulla lotta all’abbattimento del Co2. In più la Prestigiacomo chiederà che agli obiettivi annuali previsti per i settori agricolo, civile e dei trasporti, si sostituisca un solo obiettivo intermedio vincolante al 2017, tenendo tra l’altro conto della possibile delocalizzazione che alcune industrie potrebbero scegliere per sfuggire ai costi imposti dalla Ue.
Bruxelles, per ora (anche per via del week end) non replica all’ipotesi germogliata a Roma. Stavros Dimas ieri si è limitato a lodare l’Italia per la soluzione individuata per i rifiuti nel napoletano, mentre la sua portavoce ha ricordato come Lussemburgo, costituirà «l’occasione per incontrare gli interlocutori italiani per un ulteriore scambio di vedute e per fornire chiarimenti sul potenziale impatto e sulle opportunità del pacchetto energia-clima».
Par di capire, in sostanza, che la Ue continui a non ritenere veri i dati dell’elevata spesa (circa 18 miliardi di euro l’anno, per nove anni) denunciati da Roma come necessaria per sottostare agli impegni del pacchetto. Ma ieri, all’interno della polemica tutta italiana sulla questione, anche rappresentanti dell’opposizione hanno convenuto sulla insostenibilità di quei costi. Pier Ferdinando Casini, ad esempio - contraddicendo Cesa e Vietti - ha detto che i toni del nostro governo sono stati «dissennati», ma che non gli si può negare abbia fatto bene a protestare. Anche l’ex-ministro Bersani (Pd) si dice contrario ad aprire «generici fronti polemici», ma ammette come occorra «migliorare particolari applicativi». Critiche dure invece da Di Pietro, dai verdi, dalla sinistra radicale cui replicano in modo altrettanto deciso esponenti della maggioranza. «Che il clima sia cambiato e che siamo tutti preoccupati è un fatto, ma poi la gente vuole anche andare in macchina e vuole l’energia elettrica.
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